Visioni

«Bel Hommage», la prima volta jazz di Patti LaBelle

«Bel Hommage», la prima volta jazz di Patti LaBellePatti LaBelle sulla copertina del disco «Bel Hommage»

Musica Dopo dieci anni torna la cantante di Philadelphia con un album che rivisita grandi standard, da «Don't Explain» a «Here's to Life»

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 20 agosto 2017

Più di un semplice concerto, assistere ad una performance di Patti LaBelle suona quasi come un’esperienza catartica. Sembra di stare su un ottovolante con la voce che si distende su ottave e altrettanto velocemente scende. Se vi capita di curiosare fra le teche Rai è facile imbattersi in un suo storico show a Umbria jazz, 1997, impegnata in un sermone gospel da mandare in estasi il più placido degli spettatori.

atricia Holte, il suo vero nome, 73 anni da Philadelphia, è una delle più dotate performer della vecchia scuola soul con una carriera che attraversa mezzo secolo, dal quartetto delle Bluebells al trio Labelle con Nona Hendryx e Sarah Dash con le quali raggiunse la notorietà e l’eterna fama con Lady Marmelade – 1974 –, per poi – in versione solista – ritagliarsi un ruolo da superstar pop soul grazie a duetti azzeccati con Michael McDonald e qualche produzione di lusso (vedi alla voce Prince). Ora – dopo un’assenza di dieci anni, un timido tentativo di resuscitare il brand Labelle (Back to now, 2008) e una carriera alternativa per Valmart come regina dei fornelli, autrice di acclamati libri di cucina, si è ripresentata a inizio estate con un album, Bel Hommage, dove per la prima volta si cimenta con un repertorio jazz.

Prodotto dall’ex marito Armstead Edwards: «Lui conosce così bene me e la mia voce da oltre trent’anni– ha raccontato – quindi perché non affidarmi a lui?» e inciso per la neonata etichetta Gpe Records gestita insieme al figlio che gli fa anche da manager, Zuri, è un elegante rilettura di tredici standard dove trova spazio un brano di Giorgio Calabrese, Softly As I Leave che nella originale versione italiana, Piano, con liriche di Tony De Vita, venne interpretata da una giovane Mina. Affronta perle dal repertorio di Nina Simone come Wild is the Wind, il capolavoro di Billie Holiday Don’t Explain e per chiudere Here’s to life, inseguendo il fantasma di Shirley Horn.

«È un genere che ho sempre amato – spiega – ma che non ho mai avuto il coraggio di affrontare prima. Perché non trovavo la mia voce adatta, quando provavo non ero mai convinta delle mie interpretazioni. Ma Armstead mi ha detto che ero pronta e alla fine mi sono convinta anch’io».

A Billboard ha confidato un aneddoto su Nina Simone: «Ci dovevamo esibire in un benefit promosso da Sting alla Carnegie Hall, ma lei disse che non sarebbe salita sul palco se prima non avessi cucinato per lei. Abbiamo cenato insieme, una donna incredibile. Chissà che prima o poi non le renda omaggio su disco…».

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