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«Being the Ricardos», l’America anni ’50 nello studio della tv

«Being the Ricardos», l’America anni ’50 nello studio della tvNicole Kidman in «Being the Ricardos»

Cinema Il film di Aaron Sorkin «ricostruisce» le figure di Lucille Ball e Desi Arnaz sul set di «I Love Lucy»

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 12 gennaio 2022

Nell’avvicinarsi alla «mitologia» che circonda Lucille Ball, la star della sitcom più amata nell’America degli anni Cinquanta, Aaron Sorkin dichiara subito che quanto stiamo vedendo è «tutto vero» pure se nei limiti incerti di una narrazione affidata ai ricordi dei sopravvissuti che a Lucille furono accanto sul set di I Love Lucy vivendo «dall’interno» ogni passo di quell’avventura. Anche se il film con cui Nicole Kidman «trasformata» in Lucille Ball – o in Lucy a un certo punto poco importa – tanto da essere irriconoscibile (di fatto lo è da tempo) non è un vero e proprio biopic a cominciare dal titolo: Being the Ricardos, A proposito dei Ricardo (su Amazon Prime), ovvero Lucy Ricardo e Ricky Ricardo, i due protagonisti della sitcom che erano, particolare non da poco, marito e moglie nella vita: Lucille Ball appunto, e suo marito Desi Arnaz (Javier Bardem), e inevitabilmente il «privato» si faceva «pubblico» e viceversa in una relazione che mischiava sentimento e un forte progetto imprenditoriale.

PER ESEMPIO i tradimenti di lui che facevano infuriare nella «realtà» la moglie a contrasto con l’idillio da commedia sul piccolo schermo. O i rapporti professionali – e di equilibrio nel matrimonio «vero» che erano un po’ diversi da quelli della coppia nella sitcom, e se Arnaz era il produttore dello show Lucille ne era la mente – era stata lei a coinvolgere Karl Freund, direttore della fotografia di Murnau emigrato in America grazie al quale I Love Lucy (in Italia Lucy ed io) è la prima sitcom registrata in diretta davanti a un pubblico con tre macchine da presa. È sempre Ball che gestisce le situazioni, che impone soluzioni di messinscena ai registi i quali appaiono più esecutori della sua visione ormai così fusionale con quell’esistenza parallela da viverla più visceralmente della vita «vera».
Sorkin si concentra su una settimana dello show nel 1952 (I Love Lucy è andato in onda sulla Cbs tra il 1951 e il 1957); dal lunedì al venerdì, giorno della messa in onda, mostra il funzionamento dello studio, del lavoro, e soprattutto l’intrico di relazioni che vi si agita. Non è però una settimana come altre Lucille è finita nel mirino della «caccia alle streghe» messa in piedi dal senatore McCarthy contro i comunisti americani, anche lei è accusata di un passato comunista – che peraltro non vuole rinnegare, il nonno lo era – e che rischia di far saltare tutto, lo show e il successo ottenuto così faticosamente dopo tanti fallimenti e piccoli ruoli al cinema. I tabloid si accaniscono, ma se lei è bollata come «rossa» (non di capelli)lui finisce sulle prime pagine per foto scandalo con altre donne .
A questo punto Sorkin anche sceneggiatore può dispiegare l’intero manuale del mestiere e allestire un vero e proprio compendio che farà andare in visibilio certi sceneggiatori anche nostrani, quelli per cui il cinema è un accessorio o persino un orpello nell’idea del «tutto torna»: ogni dettaglio è al proprio posto, ogni passaggio trova una sua giustificazione. Ecco allora dispiegarsi l’elenco dei temi-chiave che per carità hanno tutti la loro importanza ma messi in fila diventano quasi una «didascalia» : i rapporti di potere nell’industria dello spettacolo, la condizione (e la visione) della donna che impedisce nell’America del tempo di mostrare Lucille Ball incinta- sì perché in quella stessa settimana scopre pure di aspettare un bambino – altrimenti i cristiani si infuriano. Ma non lo diceva la chiesa che tocca sposarsi per procreare? O che costringe Lucille nella vita vera per «salvare» il suo matrimonio a mostrarsi più dipendente dalle scelte del marito, poco importa se è stata lei a portarlo lì vincendo l’ostracismo nei confronti della sua origine cubana.

IL FLASHBACK delle memorie si alterna al presente, il bianco e nero della televisione al colore, il passato dei due, innamoramento e speranze si intreccia al quotidiano dello studio; Sorkin con l’ansia da primo della classe fa sfoggio di virtuosismi della ripresa, anche questi idea mal compresa di cinema perché il «mito» di quella figura, la sua epoca, i suoi paradossi, le sue nevrosi si perdono, livellati senza sussulti (e senza una lettura personale) né sorprese.

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