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À la recherche di Reynaldo Hahn

À la recherche di Reynaldo Hahn

Improvvisi Dimenticare Proust, lasciarlo scivolare nel silenzio, fare finta che non sia mai esistito...

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 6 novembre 2022

Dimenticare Proust, lasciarlo scivolare nel silenzio, fare finta che non sia mai esistito. Non per sempre, per carità, giusto un breve oblio: quel che basta per riconsegnare alla memoria del Novecento un compositore che si merita un po’ di fortuna tra gli artigiani nobili del secolo passato: Reynaldo Hahn. Ogni volta che spunta il suo nome in un articolo, in una biografia, in uno studio critico, dopo poche righe salta fuori, infatti, immancabilmente, anche quello di Proust: e da lì in poi il povero Reynaldo finisce sullo sfondo della tela. Per motivi, oltretutto, che hanno assai poco a che fare con la musica e molto invece con le «intermittenze del cuore». Certo, una ragione c’è: dalla tarda primavera del 1894 fino all’estate del 1896 Reynaldo e Marcel, poco più che ventenni, vivono – come si sa – una fortissima, travolgente, intima, relazione sentimentale. Si conoscono in uno dei salons più alla moda di Parigi, quello di Madame Lemaire, e scoccano in un lampo le reciproche affinità elettive. Entrambi si immergono ogni giorno e ogni notte, con entusiasmo, nel milieu intellettuale della città.

Ma al momento della loro unione attraversano due «momenti di vita» molto diversi: Hahn, nato in Venezuela da un padre tedesco e da una madre spagnola, è stato un enfant prodige e ora è un compositore, un pianista e un cantante molto popolare nei salotti e nelle sale da concerto. Proust, al contrario, nonostante sia di tre anni più «anziano», è ancora imprigionato nel bozzolo di una difficile affermazione letteraria. Se i loro gusti poetici tendono a convergere, le passioni musicali li dividono: Proust ammira Satie e Debussy, Hahn li detesta, ma è soprattutto Wagner a creare tra loro un solco invalicabile. L’uno è un devoto del Tempio di Bayreuth, l’altro un nazionalista «acceso», che crede fermamente nella tradizione francese: dal clavicembalismo di Rameau e di Couperin fino alla pratica della romance e della mélodie. E difatti, tanto è intensa tra loro l’intesa esistenziale e amorosa, quanto sono deboli, quasi inavvertibili, le reciproche influenze artistiche. La scrittura poetica del giovane Proust è troppo ricercata, criptica, astrusa per lo stile vocale, cantabile e vagamente naïf, di Hahn. Non è un caso che il vertice della loro entente musicale sia rappresentato dalla silloge dei Portraits de peintres: quattro testi poetici che Proust, dopo una visita al Louvre insieme a Reynaldo, dedica ad altrettanti pittori franco fiamminghi. Hahn però non li affida al canto, bensì a un cauto, esitante, quasi timido commentaire destinato al solo pianoforte.

E per converso i «fiori musicali» sparsi a piene mani nelle pagine della Recherche non si ispirano affatto alle composizioni dell’antico amante (per altro molto prolifico e attivo in tutti i generi musicali), bensì a compositori assai più engagés come Cesar Franck, Camille Saint-Saens e, in filigrana, Richard Wagner. Anche se Reynaldo certo non manca dalle pagine della Recherche: trasfigurato e sublimato nelle parole, nei gesti, negli atteggiamenti di Odette. Il centenario proustiano che ormai sta per svanire ha contribuito, per la verità, a risvegliare l’interesse per la musica di Hahn: un ciclo di concerti e un convegno al Palazzetto Bru Zane di Venezia, una preziosa monografia in italiano di Giuseppe Clericetti, un paio di studi molto documentati in Francia. E ne esce fuori, messa finalmente in disparte la figura ingombrante di Proust, il ritratto di un compositore vitale, onnivoro, dotato di una scrittura vocale convenzionale, ma mai banale, di un istinto sicuro per il teatro, di una felice estroversione melodica. Ma forse l’immagine che più gli assomiglia è restituita da un piccolo dipinto «di cronaca» realizzato a Venezia negli ultimi anni dell’Ottocento: si vede un pianoforte che naviga su una chiatta lungo il Canale di S. Maria Formosa e un giovane uomo seduto alla tastiera che canta tra due ali folla, in un veneziano sicuramente tinto di francese, La biondina in gondoleta… Il pianista navigante è proprio lui, Reynaldo. E Marcel, à l’instant, n’est pas là

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