Cultura

Bauman, quel «seme nella neve» da custodire con cura

Bauman, quel «seme nella neve» da custodire con curaNella foto Zygmunt Bauman

«A tutto campo», esce per Laterza l'ultima lunga intervista rilasciata a Peter Haffner sull’amore, il destino, la memoria e altre umanità Quanto pesa il percorso biografico di un intellettuale sullo sviluppo del suo pensiero, sulle cose che scrive e sugli studi che decide di intraprendere? E, all’inverso: è possibile rileggere la […]

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 29 aprile 2021

Quanto pesa il percorso biografico di un intellettuale sullo sviluppo del suo pensiero, sulle cose che scrive e sugli studi che decide di intraprendere? E, all’inverso: è possibile rileggere la propria vita personale alla luce delle categorie e delle teorie che si sono costruite o anche solo frequentate in quella professionale? Insomma: i due ambiti possono essere nettamente separati senza una perdita rilevante di informazione e di senso sia per il lettore che per l’autore di un libro?

L’ASCESA DELLA SCIENZA e del pensiero moderni si sono basati su una radicale risposta affermativa a questa domanda: lo studioso, il ricercatore, l’intellettuale, se vogliono essere davvero tali, devono parlare il linguaggio dell’universalità e dell’obiettività. La loro particolare soggettività deve essere espulsa dai testi che scrivono, celata nettamente ai lettori.
L’ultima lunga intervista rilasciata da Zygmunt Bauman a Peter Haffer e pubblicata da Laterza con il significativo titolo A tutto campo. L’amore, il destino, la memoria e altre umanità (pp. 216, euro 18,00, traduzione a cura di Michele Sampaolo) è tutta giocata sul rovesciamento di questo assunto (che, in parte, è anche un «assurdo»): un grande studioso, uno dei più grandi sociologi e intellettuali degli ultimi trent’anni, può e deve essere compreso a partire dall’intreccio profondo tra la sua vita personale e lo sviluppo della sua opera.

Nel recupero di quella trasparenza e di quel coraggio a confrontarsi pubblicamente con sé, con i momenti più drammatici o imbarazzanti della propria vita, con il senso di impotenza che sempre un intellettuale sperimenta, che trasforma un’intervista in un vero e proprio dialogo, sociologico e filosofico, di sapore quasi platonico, nel quale biografia e universalità tornano ad incontrarsi di nuovo.

CON QUESTO dialogo-intervista, molto denso e allo stesso tempo piacevole e appassionante nella lettura, Bauman ci lascia, soprattutto, tre grandi temi di riflessione. Il primo è quello del rapporto tra passato, presente e futuro, sia al livello individuale che sociale: in un mondo nel quale si è realizzato il trionfo assoluto del Capitale e dell’individualizzazione, declina la preoccupazione e l’aspirazione a costruire una «buona società». A pensarci e proiettarci, individualmente e tra le generazioni, in un’ottica e in una speranza di progresso e di miglioramento continuo. La reazione all’instabilità, alla precarizzazione e alla mercificazione della vita ha prodotto, in forma fondamentalista oppure reazionaria, l’esaltazione regressiva del passato: le utopie diventano retrotopie. Bauman ci invita a rovesciare tutto questo e, sulla base di un nuovo «principio-speranza» (come avrebbe detto Bloch), a recuperare dal passato qualcosa di completamente diverso per riproiettarci, in modo positivo, verso il futuro: le possibilità, i modelli e le esperienze di emancipazione e progresso che sono state sconfitte o abbandonate ma che sono ancora lì, con tutte le loro potenzialità. Il socialismo, al quale Bauman rimase fedele idealmente per tutta la vita, è la prima di queste.

IL SECONDO TEMA richiamato è il problema della libertà: come sperimentato nella sua vita personale, Bauman ci fa riflettere sulla fragilità del Sé e sul rimescolamento continuo delle persone, delle situazioni e delle circostanze che, soprattutto nell’epoca della modernità liquida e anche nell’interregno che stiamo vivendo, verso qualcosa di nuovo, investe ciascuno di noi. Una condizione esistenziale prima che sociale che sembra imporci il dominio della necessità.
Tutto ciò però può sempre essere rovesciato: se il destino e il mondo sono dati e difficilmente modificabili dal singolo in quanto tale, possiamo lavorare sulla nostra soggettività e fare in modo di esplorare tutte le possibilità positive. Allo stesso tempo, il sociologo polacco ci dice che questo non basta: accanto a ciò è necessario costruire un contesto sociale e una politica in grado di riprendersi la responsabilità delle contraddizioni e dei problemi collettivi.

Gli esseri umani possono diventare soggetti e lottare più efficacemente contro la forza del «già dato» e del «destino» lì dove è presente la società e la solidarietà sociale. Ciò prefigura l’urgenza di uscire dal neoliberismo. Il terzo e ultimo tema – che un po’ taglia trasversalmente anche gli altri – è l’importanza dei legami e dell’amore sia sul piano personale che pubblico: la cura, l’attenzione per l’altro, il rispetto delle sue specificità, sono le pratiche e i valori fondamentali che globalizzazione e capitalismo neoliberista, nella modernità liquida, hanno inteso eclissare. Al contrario sono queste cose che tengono un soggetto in piedi e che gettano, anche attraverso le generazioni, «quel seme nella neve» in grado di trasformare la società.

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