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Battlefield 1 sul Monte Grappa

Battlefield 1 sul Monte Grappa

Videogames L'ultimo capitolo della serie di sparatutto bellici ha suscitato reazioni negative da parte dell'Associazione nazionale alpini

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 26 novembre 2016

L’ultimo capitolo della serie di sparatutto bellici in prima persona sviluppati da Dice e pubblicati da Electronic Arts – Battlefield – è Battlefield 1, ambientato in vari scenari della Prima guerra mondiale. Uno di questi scenari è il Monte Grappa e l’aver preso uno dei luoghi simbolicamente più drammatici di questa parte della storia italiana ha suscitato reazioni negative da parte dell’Associazione Nazionale Alpini per bocca del suo presidente Sebastiano Favero, con la palla subito presa al balzo dalla politica (il consigliere regionale veneto di Fratelli d’Italia Sergio Berlato e il governatore leghista Zaia). Il commento di Favero: «non ci sembra affatto il caso di trasformare un luogo sacro in un videogioco. Il Monte Grappa dovrebbe essere ricordato per il sacrificio di chi ha combattuto ed è morto lassù, dall’una e dall’altra parte, e non quindi essere riportato d’attualità in questo modo, con gente che spara e uccide, con sangue ovunque.

Temi delicati, come quello della guerra, specie di questi tempi, vanno affrontati in maniera diversa e non in modi devianti come questo».
Una delle poesie più belle sulla Prima guerra mondiale ed una delle più conosciute dagli studenti, se non altro per la sua brevità, è sicuramente Soldati di Ungaretti: «Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie». Se il senso apparentemente è semplice da spiegare, in realtà la distanza dal vissuto della guerra che avrebbe dovuto por fine a tutte le guerre, agli scenari che, dalla Seconda guerra mondiale ad oggi, sono diventati più tecnologici, fino alla guerra «astratta» condotta a distanza mediante i droni, ne toglie ai lettori di oggi il carico di angoscia legata all’incertezza dell’esistenza, anzi della certezza della morte, della malattia, del disagio dei fanti nelle trincee, dove era piuttosto la sopravvivenza ad essere un’eventualità tinta di miracoloso. Battlefield 1 fornisce immediatamente questa consapevolezza ai suoi giocatori costringendoli a morire più volte fin dal primissimo livello tutorial che presenta il gioco, le sue ambientazioni e le sue meccaniche.

E il giocatore continuerà a morire all’interno del gioco, non importa che abbassi il livello di difficoltà, perché Battlefield 1 – in questo estremizzando una tendenza fin dall’inizio presente nella serie – lo costringe a valutare lo svolgersi della battaglia come una sorta di coreografia in cui il trovarsi nel luogo o nel momento sbagliato o con l’arma non adatta porta al «game over» (lapidariamente rappresentato con nome e cognome del personaggio impersonato e le date di nascita e morte).

Certo il periodo rappresentato all’interno del videogioco è esclusivamente quello finale perché sarebbe stato poco ludicamente attraente rappresentare la logorante guerra di posizione all’interno delle trincee fronteggiantisi – anche se un curioso ed abbastanza riuscito tentativo in questo senso è stato fatto dagli sviluppatori francesi di 4X Studio con Iron Storm, un videogioco pubblicato nel 2002 in cui si immaginava un mondo alternativo in cui la Prima guerra mondiale durava fino agli anni ’60 – ma il «mood» del gioco resta distante dalla frenesia assassina permessa o addirittura richiesta in altri first person shooter (come ad esempio, ovviamente, l’ultimo DOOM).

Per quanto in Battlefield 1 il giocatore sia obbligato a sparare ed uccidere il nemico, si sente sempre come il Piero della canzone di De Andrè: angosciato dal dover uccidere un essere umano diverso solo per il colore della divisa ma che non gli ricambierà il favore costringendolo ad altri «game over».

Anche gli youtuber Gabbodsquared, JustRohn, Mikeshowsha e IlVostrocaroDexter, che hanno realizzato una divertente versione in «real life» di una sessione multiplayer utilizzando proprio lo scenario del Monte Grappa (https://youtu.be/yERtIWRYVK4), ammettono di essere stati colpiti nel vedere per la prima volta una trincea dal vero. E questo dimostra come i timori dei vari Favero, Berlato e Zaia siano non solo infondati, ma che anzi è proprio tramite un medium come quello videoludico, capace di coinvolgere le giovani generazioni con un linguaggio che sia il loro, che è possibile trasmettere loro il ricordo ed il rispetto per chi è morto per la patria. Dimostra che il videogioco, anche il violento videogioco bellico, può essere l’occasione per riflettere sugli orrori della guerra.

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