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Battaglie, tessere-mosaico lungo mille anni di storia

Battaglie, tessere-mosaico lungo mille anni di storiaLeonardo da Vinci, studio per la Battaglia di Anghiari, part., 1503 ca., Budapest, Szépmüvészeti Múzeum

Storia militare La «Histoire-bataille», già messa in crisi dalle Annales, ha preso a occuparsi anche delle vicende dei «senza nome», e fuori dall’Europa: Federico Canaccini, Il Medioevo in 21 battaglie, per Laterza

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 29 gennaio 2023

L’espessione «Histoire-bataille» venne coniata polemicamente negli anni Trenta del XIX secolo dallo studioso francese Amans-Alexis Monteil (1769 – 1850). Ex insegnante di storia all’accademia militare di Saint-Cyr, Montreil per primo criticò la propensione degli storici suoi contemporanei a limitarsi a un’analisi accademica dei principali fatti d’arme, tesa a esaltare le figure degli eroi e dei grandi condottieri. Questo modo di concepire la ricerca storica ignorava quasi del tutto le vicende dei reali protagonisti degli eventi bellici: gli uomini e le donne che materialmente si affrontavano sul campo di battaglia o che ne subivano gli orrori. Quando poi sulle pagine delle «Annales» (la celebre rivista di studi storico-sociali fondata nel 1929 dagli storici Marc Bloch e Lucien Lefebvre) si fece largo il concetto di «storia evenemenziale» per etichettare negativamente la consuetudine di riassumere gli accadimenti storici in una sequenza sterile di fatti e dati, l’«Histoire-bataille» trovò automaticamente la sua collocazione in seno a quella poco lusinghiera definizione.
Nel corso del Novecento lo studio e l’analisi della storia militare hanno forse toccato il punto più basso per quello che riguarda la considerazione nell’ambito dei circoli accademici. Alla luce delle immani tragedie che avevano costellato il XX secolo, trattare di guerra era infatti divenuto scomodo e coloro che si occupavano di storia militare, hanno cominciato a essere visti con sospetto, quasi come se in fondo approvassero la guerra e le sue nefandezze. Le nuove generazioni di storici hanno quindi privilegiato gli aspetti sociali, economici e logistici della guerra. La narrazione più tradizionale delle singole battaglie è stata relegata alla divulgazione dedicata al pubblico generale – presso il quale ha avuto un grande successo – scollandosi di conseguenza dagli studi accademici.
Il nuovo libro di Federico Canaccini Il Medioevo in 21 battaglie (Laterza «i Robinson / Letture», pp. VI-514, euro 28,00) rappresenta in un certo senso una rivincita dell’«Histoire-bataille». Sarebbe tuttavia riduttivo limitarsi a questa considerazione superficiale. L’autore, che aveva già dedicato due importanti lavori ad altrettante battaglie medievali, relative alla lotta fratricida tra Guelfi e Ghibellini italiani (1268. La battaglia di Tagliacozzo e 1289. La battaglia di Campaldino, entrambi editi da Laterza), ha selezionato qui ventuno fatti d’arme cruciali. Scritti con il filtro della moderna sensibilità, i capitoli del libro permettono al lettore di ripercorrere più di mille anni di storia, cavalcando di campo di battaglia in campo di battaglia, al fianco di imperatori, re e condottieri, ma anche tra gli uomini senza nome che costituivano le loro armate. Come si evince dalla Premessa, il lavoro di Canaccini ha infatti l’ambizione di servirsi delle singole battaglie come tessere per ricomporre il mosaico di un’intera epoca, oltrepassando i confini temporali e geografici nei quali, d’abitudine, siamo portati a incasellare il Medioevo «nostrano».
Effettivamente la narrazione si apre con la battaglia dei Campi Cataláunici (451), l’ultima grande vittoria dell’Impero Romano d’Occidente, vent’anni prima della deposizione di Romolo Augustolo, e si conclude con la caduta della città azteca di Tenochtitlán (1521) per mano dei conquistadores spagnoli, circa trent’anni dopo l’arrivo di Cristoforo Colombo nelle Americhe.
Tra questi due estremi, una successione di scontri combattuti per terra e per mare in Europa, Africa ed Asia. Alcuni più noti, altri del tutto inattesi, ma allo stesso modo fondamentali per la comprensione di un’epoca che una certa vulgata vorrebbe dipingere come estremamente chiusa e appiattita su se stessa. Accanto alle battaglie di Poitiers (732), Hastings (1066), Gerusalemme (1099), Azincourt (1415) e Costantinopoli (1453), i cui nomi ci sono famigliari fin dai banchi di scuola, vengono narrati eventi accaduti in teatri esotici e lontani dai rassicuranti confini della Vecchia Europa.
Così, ad esempio, il lettore diventa testimone della terribile disfatta patita nel 751 dalle truppe cinesi della dinastia Tang per mano dell’esercito Abbáside, presso il fiume Talas, al confine tra l’attuale Kazakistan e l’attuale Kirghizistan. Questa battaglia, oltre a decretare la fine dell’espansione cinese verso Occidente, fu fondamentale per la diffusione nel mondo islamico delle tecniche di produzione della carta e della seta.
Oppure veniamo a conoscenza dello scontro navale di Diu che vide affrontarsi nel 1509 nel Mare Arabico la flotta portoghese e un’inconsueta coalizione Mamelucco-Indo-Veneziana. I Portoghesi in virtù di navi più moderne, di un’artiglieria superiore e di equipaggi più esperti sgominarono gli avversari, aprendo l’Oceano Indiano al dominio europeo. Di conseguenza, sebbene poco nota al grande pubblico, quella di Diu è annoverata tra le più importanti battaglie della Storia per le durature conseguenze che ne derivarono.
Ed è forse questo il maggior merito del libro: trasmettere la consapevolezza che ogni battaglia non è un semplice scontro armato fine a sé stesso ma un evento gravido di ripercussioni, che non di rado si riverberano anche sul lungo periodo coinvolgendo sovente aree geografiche lontane dal teatro del combattimento.

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