Visioni

Bassekou Kouyaté, le risonanze impure dello ngoni

Bassekou Kouyaté, le risonanze impure dello ngoniBassekou Kouyaté

Note sparse L’artista virtuoso dell’antico liuto sub-sahariano di cui è anche uno degli innovatori, pubblica il suo nuovo album «Miri»

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 20 febbraio 2019

Il tempo di un disco alla Glitterbeat, Ba Power (2015) con la produzione del boss dell’etichetta, Chris Eckman – forse l’album più rock’n’roll della sua carriera – per poi tornare alla Outhere records che pubblica ora il suo quinto disco, Miri (sogno o contemplazione, in lingua bambara). Bassekou Kouyaté è un virtuoso dello ngoni, l’antichissimo liuto sub-sahariano a tre/cinque corde di cui è anche uno dei più grandi innovatori. Ha fabbricato ngoni di diverse dimensioni e accordature, lo ha elettrificato e rivoluzionato le tecniche di esecuzione e in contrasto con una tradizione centenaria ha cominciato a suonarlo in piedi, come fosse una Les Paul.

ACCADE poi che nel 2006 il musicista maliano incrocia la strada dell’etichetta tedesca, che scommette tutto su di lui:ed è subito uno strabiliante debutto, Segu Blue (2007). Miri è per molti versi un orgoglioso ritorno alle origini per il virtuoso di Garana capace di stregare il mondo con le risonanze impure del suo ngoni, che ha incrociato sistematicamente le piste dei grandi (dell’Africa e fuori dal continente), diventando grande a sua volta. Primo, perché l’album è servito a Kouyate per elaborare la morte della madre, Yakare, anch’ella apprezzata cantante (a cui dedica il brano conclusivo). Cosicché é tornato sulle sponde del Niger, nel piccolo centro nella regione di Segou dove è nato, e si è concentrato sul potere antico e visionario del suo strumento. Non che Kouyaté lo abbia mai sottovalutato, ma la sua urgenza è stata più quella di costruirsi una reputazione di innovatore e di conferire centralità a uno strumento tradizionalmente usato per accompagnare le lodi dei bardi. Perciò pur non avendo problemi con l’ortodossia della tradizione, ha sconfinato volentieri nel rock.

Miri non è un disco dichiaratamente politico (ma il folk non è forse intrinsecamente politico?), con testi assai meno tonitruanti e dal potenziale infiammabile proporzionalmente molto più basso di quanto lo fossero i precedenti, Ba Power (2015), e Jama Ko (2013), che rappresentavano anche lo sfogo del musicista cui veniva vietato di suonare dai jihadisti. Kouyate con questo disco, punta sul roots, sulla ricca musicalità dell’area mande, e non rinuncia a coniugare la tradizione con lo spirito dei tempi.

MA LA VERVE politica non è mai del tutto sopita,e Tabital Pulaaku, è un call and response di grande potenza espressiva, con Afel Boucom, e sintesi dinamica e plurale delle traiettorie musicali per cui è noto il Mali.

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