Rubriche

Baruchello e la pittura del Quattrocento

divano

Divano La rubrica settimanale di arte e società. A cura di Alberto Olivetti

Pubblicato più di un anno faEdizione del 24 marzo 2023

Gianfranco Baruchello regalò a Luciana Castellina due carte ove aveva tracciato ad inchiostro di china certe minime figurine e certe parole in corsivo e pure vi aveva incollato, ma ritagliate in piccola dimensione, alcune fotografie in cui appare Lisetta Salis, la madre di Luciana. Si tratta, in forma disegnata, del resoconto di una gita o di una scampagnata, forse. Le figurine e gli altri segni grafici sono accolti nel bianco del foglio che così risulta il vasto campo e il paesaggio ove si svolse l’avventura di quel pomeriggio all’aperto.

Riguardo ai due fogli, vorrei puntualizzare una suggestione di ordine strettamente pittorico che può valere, credo, per certi importanti aspetti della poetica di Baruchello. Vorrei a questo proposito rifarmi a una dimensione compositiva propria di certe scuole quattrocentesche, segnatamente fiamminghe, che, come è noto, ebbero una loro incidenza nella coeva pittura italiana. Penso, per fare due nomi soltanto, ad Hans Memling e Antonello da Messina. Ebbene, in queste tavole antiche c’è una sacra scena nel primo piano occupata da santi, madonne, ricchi donatori devoti. C’è poi c’è un secondo piano che va nel lontano, oltre una finestra, oltre l’apertura d’un arco. Ecco che laggiù, in quella lontananza del secondo e terzo piano, tu osservi una dimensione quotidiana della vita. Là uomini e donne attendono alle loro attività giornaliere: c’è chi porta un asino alla cavezza e chi si sposta a cavallo; contadine stanno camminando, una con un canestro in capo; due armigeri al passo con la lancia in spalla.

Ecco: figurine di dimensione assai ridotta, così come è ridotta e quasi microscopica, quella dei personaggi di Baruchello. Una ascendenza antica (non so quanto documentabile nella formazione di Baruchello), e tuttavia, una dimensione che si può evincere, ricostruire, osservare nella composizione di questi suoi inchiostri acquarellati. Tanta che questa dimensione lenticolare (che chiede cioè quasi di essere ingrandita per essere letta, afferrata), è qualcosa che apparenta a un modo di ‘sentire’ e di rappresentare la cronaca d’una giornata di Baruchello con questa antica pittura quattrocentesca. Il quotidiano come un pullulare di attività, di movimenti, di incontri, ma anche uno snodarsi di stradine, di percorsi campestri, di tremolanti marine.

Il foglio di Baruchello è impostato come una minuta topografia, contiene gli elementi grafici che contraddistinguono una mappa e, dunque restituiscono in cifra la traccia di un percorso noto, che può essere di nuovo intrapreso. Pare a me questo un altro aspetto che rende affini queste carte di Baruchello con l’archetipo pittorico quattrocentesco che sto dicendo.

È qui opportuno aggiungere che elemento quotidiano vuol dire un elemento di cronaca, e qui abbiamo la cronaca di una gita registrata con piccole fotografie, con riferimenti, ripeto di tipo topografico, i nomi della montagna e quant’altro. E c’è il paesaggio, nel senso che non è reso naturalisticamente, ma appunto come topografia di un luogo e quindi c’è non la montagna naturalisticamente detta o la collina, ma c’è la cifra della collina con sotto scritto qualche volta la distanza, oltreché il nome, la direzione e diciamo così la bussola in base alla quale sono in coordinamento le persone sedute in un prato e ciò che le circonda. C’è una più facile suggestione che si può richiamare: qui, in forma di disegno, hai due pagine di diario felicemente ‘infantili’, cronaca di qualcosa che sia intervenuto in una dimensione fra familiare e scolastica, e la registrazione d’un’occasione capitata nel corso di una gita tengono di un ulteriore aspetto: una suggestione verso il racconto a fumetti, sia pure dipanato senza la successione delle tavole, ma con la concezione sinottica che al fumetto è connaturata.

Una sinossi che registra, contempla, contiene parti autonome l’una dall’altra, eppure correlate da una narrazione che diventa o implicita o da costruire.

Potremmo dire che questi racconti, come avviene nelle cronache antiche del Tre e Quattrocento, sono sintetici. I fatti uno vicino all’altro. Non è un narrare che si staglia in considerazioni più ampie, in riflessioni più generali.

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