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Bari in piazza per Decaro: «No ai ricatti del governo»

Bari in piazza per Decaro: «No ai ricatti del governo»

La manifestazione In quindicimila solidarizzano con il sindaco. Emiliano: «Qui la destra ha già perso». Schlein attacca Santanchè per il caso Visibilia: «Dovrebbe dimettersi»

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 24 marzo 2024

«Un secolo fa il fascismo cominciò così», dice Luciano Canfora davanti a quindicimila persone scese in piazza del Ferrarese, a Bari vecchia, per esprimere la loro solidarietà al sindaco Antonio Decaro, vittima di un’offensiva istituzionale quantomeno sospetta, a due mesi dalle elezioni, con il Viminale che ha inviato in città gli ispettori per verificare se ci sono le condizioni per sciogliere il consiglio comunale per mafia, sull’onda di un’inchiesta della Dda locale sul voto di scambio. Come cominciò, quindi, il fascismo? «Con lo scioglimento dei consigli comunali socialisti, primo atto del governo Mussolini», è la risposta di Canfora.

IL CLIMA, intorno a Decaro, è tutto così. E dopo essere diventato paladino dell’antimafia, incoronato direttamente da don Luigi Ciotti due giorni fa a Roma davanti a centomila persone, adesso il sindaco di Bari assume anche il ruolo di alfiere della nuova resistenza. O, più prosaicamente, inatteso simbolo di un campo largo che stenta a decollare ma che trova una sua compattezza in virtù delle prepotenze del governo di Giorgia Meloni. «Bari non si tocca», è il titolo della manifestazione chiamata dal partito e dal sindacato, qui evidentemente ancora capaci di mobilitare in poco tempo un numero di persone di certo non piccolo. «Questa piazza è la risposta a chi vuole usare questa città per fare campagna elettorale. Bari non è sotto ricatto di nessuno, né della mafia né della politica», scandisce Decaro dal palco. Don Angelo Cassano, referente regionale di Libera, ne ha per Piantedosi: «È li il vero criminale, per i morti del Mediterraneo, di fronte ai quali non possiamo girarci dall’altra parte». Applausi sia della piazza sia del resto del palco, popolato dallo stato maggiore del campo largo pugliese. «La commissione non era un atto dovuto, non c’è la obbligatorietà, come per l’azione penale, di agire con le misure di prevenzione e non c’era neanche l’urgenza, perché l’amministrazione si sta sciogliendo da sola per linea naturale, per scadenza del mandato», precisa dopo il governatore regionale Michele Emiliano. Che da consumato retore poi affonda il colpo: «La destra qui ha già perso, oggi glielo avete fatto capire». In effetti le primarie tra Vito Leccese e Michele Laforgia hanno tutta l’aria di essere le vere elezioni comunali, il momento in cui la città di Bari sceglierà il suo prossimo sindaco. Il perché è presto detto: «La verità non è tanto in piazza, quanto nei bar», spiega un dirigente dem pugliese. «Lì anche il passante a cui non frega nulla della politica dice che quello contro Decaro è un attacco ingiustificato e palesemente a orologeria». Il manganello del governo, insomma, si sta trasformando in un clamoroso boomerang. Le ambizioni di Meloni sulla Puglia erano note: la regione viene considerata contendibile, e un ipotetico (ma improbabile) commissariamento del comune porterebbe a uno slittamento delle elezioni di almeno un anno e mezzo. Ma forse è tardi ormai per fare questi calcoli.

ANZI FORSE SAREBBE il caso di cominciare a farne altri: Decaro non è più solo lo straordinariamente popolare sindaco di Bari, ma anche un potenziale nuovo dirigente del Pd nazionale. Il suo nome, del resto, già lo si riteneva tra i più forti per le europee, tanto che i soliti beninformati sostengono da tempo che potrebbe fare un pieno di preferenze tale da far sfigurare anche la non (ancora) candidata segretaria, Elly Schlein. Questa storia, di fatto, è un booster per l’ascesa politica dell’apparentemente mite Decaro, il «fratello minore» di Emiliano, con cui i rapporti sono ondivaghi ma solidi. A destra se n’è accorta la forzista Licia Ronzulli, che ha fatto sapere di non aver affatto apprezzato il «far west» che si è venuto a creare a Bari contro quello che definisce «un buon amministratore» (poi aggiunge, per dovere e senza crederci troppo: «Anche se noi sapremo fare meglio»). Il non apprezzamento sarebbe dovuto al sedicente spirito garantista del partito berlusconiano, ma forse, più banalmente, è che Ronzulli si è resa conto di quanto questa vicenda non stia danneggiando Decaro (e il Pd) ma al contrario lo sta rafforzando. La narrazione voluta dal sindaco, in effetti, sta funzionando: l’attacco della destra è stato descritto come un attacco alla città. E la storia risulta credibile, anche perché non è assolutamente la prima volta che la destra di governo usa le istituzioni come una scure da calare sulla testa dell’avversario di turno, nell’intima convinzione che sia giusto così perché per tanto tempo l’avrebbe fatto l’odiata sinistra. Il problema è che Decaro non è l’agnello sacrificale giusto, in tutta evidenza.

NEL MENTRE, altrove, la destra si trova a dover gestire l’inciampo della chiusura delle indagini sulla ministra Daniela Santanchè per il caso Visibilia. Attacca Schlein: «Io non so in quale altro paese si sia visto una ministra accusata di truffa aggravata ai danni dello Stato che resta in carica e che pensa non ci sia un problema. Dovrebbe essere una preoccupazione forte per una presidente del Consiglio che ieri, mentre ha ricevuto questa notizia, era in mezzo ai suoi colleghi europei».

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