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Barberio Corsetti al cuore della città

Barberio Corsetti al cuore della città

Intervista Dopo il lockdown una ripresa teatrale simile a un giardino delle delizie, con un Amleto in più

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 15 agosto 2020

Incontro Giorgio Barberio Corsetti nello spazio esterno del teatro India luogo ameno, fresco, piacevolissimo, tavolini e sdraio distanziati e una rassegna cinematografica che andrà avanti fino al 23 agosto. L’attività del TdR(teatro di Roma online) non si è mai fermata durante il ha mantenuto vivo e costante il rapporto col proprio pubblico e con la città nonostante la repentina chiusura degli spazi attraverso una serie di belle iniziative da la maratona poetica alle favole serali per i bambini oltre a letture, riprese di spettacoli e ogni sabato.

Per una ventina di volte, tu hai dialogato con una serie di artisti, attori, direttori, amministratori teatrali, per fare solo alcuni nomi da Ostermaier a Emma Dante, Milo Rau, Tiago Rodriguez, Phia Menard, Bouchra Ouizquin e tanti altri. A quali riflessioni ti hanno portato questi scambi di idee? quali le tue impressioni e quali i tuoi progetti in questa situazione così precaria?
Il periodo del lockdown è stato un momento in cui siamo rimasti tutti un po’ attoniti, folgorati e nello stesso tempo con tante domande e una gran desiderio di sapere cosa succedeva negli altri paesi, non soltanto dalle notizie dei giornali ma attraverso le testimonianze di artisti, registi, gente di teatro che comunque hanno con la città, col paese un rapporto di tipo diverso, una specie di antenne che hanno gli artisti e soprattutto i teatranti nell’interpretare, nel percepire quello che succede nei rapporti tra le persone, nella società. Attraverso tutte queste conversazioni ho capito che, ovviamente, era un momento di gran crisi per il teatro e comunque anche un momento in cui gli artisti ne approfittavano per riflettere, pensare, leggere, molti stavano leggendo filosofia e soprattutto tutti quanti sentivano che il dopo non sarebbe stato come prima, era un momento di crisi ma anche un’opportunità per pensare e ricominciare anche in una maniera diversa. È molto difficile per il teatro è evidente che con la crisi che ci troveremo ad affrontare e che già si percepisce, è già chiara, lampante, bisognerà riconsiderare tutto e lavorare insieme nella più grande apertura possibile sia per quello che riguarda il nostro paese sia riguardo al rapporto con l’Europa e con gli altri paesi. L’idea, la necessità, è quella di costruire un ecosistema, di rimettere insieme dei pezzi magari spostando i termini e trovando un altro modo di lavorare e di pensare il teatro pubblico, il teatro in generale.

Su cosa punta la tua direzione del Teatro di Roma, come stai lavorando?
Con la progettualità che abbiamo messo in piedi con l’Argentina e con India. È un’ idea di partecipazione, cioè che il teatro sia molto aperto verso la città e ci sia una possibilità di partecipazione da parte del pubblico non solo venendo a teatro ma entrando nelle maglie di tutto il processo della creazione artistica e a volte partecipando anche alla creazione artistica. Prima del lockdown noi avevamo cominciato a fare degli atelier per il pubblico che erano legati ogni volta agli spettacoli che venivano fatti con delle aperture alla partecipazione del pubblico anche sul palcoscenico dell’Argentina, contemporaneamente a India c’era questo episodio, che continuerà e che è già ripreso, della scuola serale in cui il pubblico può venire e partecipare a una attività artistica, partecipare alla creazione, anche perché ci sono molti artisti attualmente che nel loro processo creativo includono un lavoro di partecipazione del pubblico.

Milo Rau..ne è un esempio.
Sì, e nello stesso tempo c’è il desiderio di far coincidere questa partecipazione con un’esplorazione della città, Roma è una città immensa che ha questo centro meraviglioso e nello stesso tempo ha questi territori enormi, sconfinati, di cui poi il raccordo anulare traccia soltanto una linea virtuale perché si va molto oltre il raccordo c’è tutta una riflessione profonda su quello che è la città.

Il tuo progetto Cantiere Amleto è partito con una performance-laboratorio nel parco di Tor tre Teste al Quarticciolo e poi ce ne saranno altre due a TorBellamonaca e a Ostia e alla fine terminerà nel cuore della città al teatro Argentina a primavera. Perché Amleto?
Ho pensato a questa figura di Amleto che non sa, a cui viene imposto, per ritrovare la propria posizione che gli è stata usurpata, di diventare come suo padre, commettere un crimine, ma non ce la fa perché ha un’altra sensibilità, un’altra natura. Questa figura è un archetipo quasi, una figura mitica, non solo un personaggio della tragedia di Shakespeare, ha profondamente a che fare con una gioventù a cui è stata tolta la propria collocazione nel mondo e che allo stesso tempo la rivendica, ma non sa come, non sa in quale rapporto porsi con il potere e con tutto ciò che determina il senso stesso della vita.

Quando e come sei ripartito?
Abbiamo deciso di ripartire comunque, con i miei assistenti e le giovani organizzatrici ci siamo potuti riunire il 15 di giugno. Ho fatto una «call» per giovani al di sotto dei 25 anni che hanno risposto inviando testi, poesie, rap, video, canti e contemporaneamente un’altra pubblica per chi avesse voglia di lavorare al Quarticciolo in questo parco meraviglioso, questa vallata che sembra essere completamente fuori della città, e sono arrivate persone da tutta Roma per partecipare a questo evento, alla fine eravamo 45-50, per il puro piacere di ritrovarsi insieme dalle 6 del pomeriggio sempre all’aperto osservando tutte le regole di sicurezza, ed è stata una forma di liberazione, erano tutti molto motivati, a un certo punto è arrivato Roberto Gandini bravissimo regista, con i suoi attori alcuni dei quali hanno delle disabilità che hanno partecipato. E dal primo di luglio siamo partiti dai cori, perché è un modo bellissimo di ritrovare un’idea di collettività, di insieme, grazie a Massimo Sigillò Massara, che è un bravissimo musicista nonché compositore, immediatamente si è creata un’armonia primaria determinata dalla musica che porta anche una disposizione mentale, collettiva, non a caso il coro era un personaggio fondamentale nelle tragedie greche, il coro veniva cantato tutto l’anno, non necessariamente da professionisti, come in questo caso.

Cosa hai immaginato, quale frammento di Amleto hai ambientato nel parco del Quarticciolo?
Il Quarticciolo lo immaginavo il regno della sessualità di Rosencratz e Guilderstern ( inventati letteralmente da Dario Caccuri e Giovanni Prosperi), che introducono Amleto a tutte le possibili combinazioni erotiche tra maschile e femminile, questo giardino delle delizie viene evocato anche dalle canzoni di Gabriella Ferri e dai rap composti dai ragazzi. Poi ci sarà una tappa a TorBellamonaca dove immagino l’adolescenza di Amleto legata a quegli spazi urbani, le torri, il teatro attiguo al centro commerciale. Questo è un viaggio attraverso la gioventù usurpata in un presente slabbrato e disfatto. Terza tappa, Ostia, mi piacerebbe lavorare proprio sul bagnasciuga come fosse la zona di confine tra il regno dei vivi e quello dei morti che permetterà al fantasma del padre di Amleto di apparire, dire la sua e mettere un’ ipoteca tremenda sulle spalle di suo figlio, e alla fine, a primavera, con la memoria di tutti questi attraversamenti, l’idea è di arrivare al cuore della città che è il teatro, che è il luogo dove tutti questi attraversamenti, questi enigmi, tutto quello che non si può dire e non è detto, tutto ciò che ci riguarda finalmente appare…

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