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Barbara, il sogno erotico di Osamu Tezuka

Barbara,  il sogno erotico  di Osamu Tezuka

Maboroshi Negli anni settanta il «Dio del manga» Osamu Tezuka attraversava un periodo difficile e di crisi, anche a causa dei carichi di lavoro proibitivi a cui si sottoponeva, che lo costrinse a sperimentare e a avventurarsi in territori, per così dire, poco calpestati

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 11 gennaio 2019

Negli anni settanta il «Dio del manga» Osamu Tezuka attraversava un periodo difficile e di crisi, anche a causa dei carichi di lavoro proibitivi a cui si sottoponeva, che lo costrinse a sperimentare e a avventurarsi in territori, per così dire, poco calpestati. La prima metà del decennio infatti vede l’uscita dei tre lungometraggi del ciclo «Animerama», realizzati dalla sua Mushi Production, lavori che affrontavano e portavano in immagini desideri e tematiche fortemente erotiche e trasgressive.

MA ANCHE con i suoi fumetti Tezuka aveva iniziato a sondare il profondo incrocio fra il desiderio e le infinite vie dell’espressione artistica. Notevole esempio in questo senso rimane Barbara, manga serializzato in rivista dal1973 al 1974 ed ispirato a Les contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach. Il lavoro, che è stato pubblicato anche in Italia dalle edizioni J-Pop lo scorso anno, racconta l’incontro fra Yosuke Mikura, un famoso scrittore, e la giovane ribelle Barbara, perennemente in stato d’ebbrezza ma capace di soddisfare tutte le più profonde e perverse passioni dell’uomo. Fra metamorfosi che ibridano l’umano con il regno animale e quello vegetale, tratto abbastanza peculiare nell’opera di Tezuka, e puntate che toccano anche il sex appeal dell’inorganico, la storia si dipana di allucinazione in allucinazione, fino a raggiungere ed incrociarsi con l’occultismo, anche questo un tema affrontato e criticato spesso dall’artista giapponese nei suoi lavori. La follia ed il delirio che cancellano i limiti della realtà, il deragliamento di tutti i sensi di rimbaudiana memoria, servono qui per vedere se ed in che modo l’arte possa trarre beneficio dallo scatenamento e l’appagamento di tutti i desideri nascosti e repressi nella psiche umana, non-più-umana.
Dal manga è stato tratto un live-action ora in fase di post-produzione che dovrebbe uscire in questo 2019. Si tratta di una coproduzione fra più paesi, Germania, Giappone e Regno Unito, ma la notizia più interessante è che a dirigerlo sia Macoto Tezka, figlio del mangaka giapponese, e che come direttore della fotografia sia stato chiamato l’australiano da molti anni trapiantato in Asia Christopher Doyle, già dietro la macchina da presa per capolavori della cinematografia del continente come In the Mood for Love e Chungking Express di Wong Kar-wai o Last Life in the Universe di Pen-Ek Ratanaruang. Ad interpretare i ruoli dei due protagonisti Fumi Nikaido, una delle giovani attrici giapponesi più interessanti degli ultimi anni, premio Marcello Mastroianni a Venezia nel 2011 per Shimizu di Sion Sono, e Goro Inagaki, ex-membro del gruppo musicale SMAP.

PER QUANTO ne sappiamo si tratta del primo lavoro del padre che Tezka si è deciso di adattare in live-action per il grande schermo, il figlio d’arte è praticamente sconosciuto al grande pubblico, ma si tratta di un regista di cinema sperimentale di notevole interesse con già alle spalle un certo numero di lavori degni di nota. Giovane precoce, già come studente si distingue per i suoi corti sperimentali realizzati in 8 millimetri, continua il suo percorso fra cinema ed arte anche negli anni ’80 con lavori fra il bizzarro e la fantascienza, del 1985 è The Legend of the Stardust Brothers e cinque anni dopo è la volta di Monster Heaven: Ghost Hero. Una certa notorietà internazionale arriva alla fine del millennio quando partecipa al Festival di Venezia del 1999 con Hakuchi: The Innocent con protagonista fra gli altri Tadanobu Asano, film distopico che racconta ed immagina una realtà in cui la Seconda Guerra mondiale non si è mai conclusa ma continua nel nostro presente.

matteo.boscarol@gmail.com

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