Visioni

Barbara Hannigan: «Non serve la perfezione, ma fluidità»

Barbara Hannigan in concerto al Festival dei Due MondiBarbara Hannigan, live a Spoleto – foto di Andrea Veroni

Incontri Parla la soprano che al Festival dei Due Mondi ha presentato un programma con musiche di John Zorn

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 12 luglio 2024

«L’amicizia con John Zorn è iniziata nel 2015, e fino ad ora ha scritto cinque o sei pezzi per me, ce n’è anche uno nuovo che non ho ancora interpretato, bellissimo, su un testo di Shakespeare. La musica – ieri sera si è potuto sentire – è difficile, è virtuosistica, con fra l’altro linee molto lunghe e dei pianissimo. È una collaborazione molto importante per me: mi sento diversa, dopo avere lavorato con John Zorn».

Il giorno dopo avere presentato al Teatro Romano Star Catcher, Barbara Hannigan – rinomata come soprano specializzata in pagine moderne e contemporanee, ma anche per la sua versatilità e per le sfide non solo canore che affronta in scena – è prodiga di elogi per il poliedrico musicista americano.

La serata era la sua seconda volta con un programma zorniano al Festival dei Due Mondi: nel 2022, sempre nell’antico anfiteatro, la cantante canadese aveva interpretato, accompagnata al piano da Stephen Gosling, Split The Lark, e Jumalattaret, lavoro ispirato ad un poema epico finlandese.

In questa nuova occasione è stata accompagnata da Gosling, da Jorge Roeder, contrabbasso, e da Ches Smith, batteria, nel brano da cui il concerto ha preso il titolo; da Sae Hashimoto, vibrafono, da Jay Campbell, violoncello, e da Smith in Ab Eo, Quod; e dal quartetto d’archi Jack Quartet in Liber Loagaeth e in Pandora’s Box: malgrado il precedente del 2022 una proposta non facile, che pure ha richiamato un consistente pubblico di circa mille spettatori.

Alla Hannigan, alla guida dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, con cui ha ormai una consuetudine, il festival affida poi la chiusura, domenica in piazza del Duomo alle 19.30: Albert Roussell, Haydn, Sibelius, e poi, con Hannigan nella duplice veste di direttrice e soprano, Girl Crazy Suite, adattamento dal musical di Gershwin.

Dei tre film di Mathieu Amalric su Zorn, il più emozionante è proprio il terzo, incentrato sull’avvio della sua collaborazione con Zorn e sullo sforzo con cui lei ha messo a punto l’impervia esecuzione di Jumalattaret.

Amo molto questo film perché è la verità, ed è raro vedere qualcosa del genere, le vere difficoltà: il pubblico vede il concerto, il risultato, e non il cammino, fin dall’inizio, l’angoscia, le incertezze…

A partire da Jumalattaret si è molto impegnata sulla musica di Zorn.

Collaborare con Zorn mi ha dato molto coraggio, idee, ispirazione per tutte le altre musiche che faccio, sia come cantante che come direttrice d’orchestra: più tardi ho delle prove per composizioni di Hugo Wolf, Chausson e Schoenberg, e sono sicura che quello che ho fatto ieri sera si incontrerà con quello che farò oggi, e anche nei prossimi giorni, con l’Orchestra di Santa Cecilia. Sono anche contenta di avere creato una possibilità per la musica di Zorn nel mio universo, quello della musica classica, dove il pubblico non lo conosce perché non è il pubblico del jazz.

Adesso è in arrivo l’album

Hannigan Sings Zorn Volume One. Uscirà questo mese, e proporrà solo musica col piano, Split The Lark, Jumalattaret, e anche un brano che Zorn compose quando aveva sedici anni; al piano c’è Gosling, straordinario. Il secondo volume credo sia quasi pronto, e conterrà la musica da camera, quella che ho fatto ieri sera.

Spesso si pensa che si raggiungeranno dei risultati di alto livello se si è molto specializzati, lei è la dimostrazione che non è necessariamente così: forse bisogna pensare alla specializzazione come a qualcosa che va oltre la differenza superficiale delle cose.

Infatti: è una specializzazione di concentrazione e di disciplina. Perché per esempio in quello che ho cantato ieri sera, c’era il belcanto, delle cose come nella Lucia di Lammermoor, dei pianissimi…: non è possibile dare un nome a questo, non è jazz, non è moderno, è soltanto un universo di collaborazione, concentrazione, tecnica, disciplina, e anche molta molta emozione. Penso che sia come nello sport, dove c’è tanta emozione, non si tratta soltanto di tecnica, ci sono di mezzo corpo e spirito nel loro insieme.

Lo sport per lei è una ispirazione importante…

Assolutamente. Ieri c’era un coach di tennis, Sven Groeneveld, un amico, era anche alle prove, ha parlato con i musicisti della conservazione e concentrazione dell’energia e della disciplina. Mi aveva già vista cantare ma era la prima volta che ascoltava la musica di Zorn, e mi ha detto che nel momento in cui sono entrata in scena ha pensato: ah, se si potesse tradurre questo nel mondo del tennis, nel coaching! Arrivare sul palco e ricevere l’energia del pubblico, e trasformare l’energia di tutto il contesto per focalizzarla sulla musica!

Ho l’impressione che lei non sia orientata dal perfezionismo.

Sì, non è questione di perfezionismo ma appunto di energia. Per esempio ieri sera non era perfettto-perfetto, ma era perfetto. Nella mia idea la perfezione è l’inizio. Allora si possono prendere dei rischi, perché essere in uno stato di libertà, di coraggio, anche di paura, la trac, questo è superimportante. Se eccediamo nel controllo, se teniamo le cose troppo strette, non c’è libertà, occorre il flow, la fluidità. Mi capita che dei giovani artisti mi dicano che sono dei perfezionisti e che oggi una certa cosa non ce la fanno a farla: ma se si aspetta la perfezione, non si è nel presente, e il presente è la cosa più importante.

Quello che ha detto, «non perfetto-perfetto ma perfetto»: è come nel jazz…

Esattamente!

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