Riparando in un porto da una traversata e assicurata la barca a una bitta la prima cosa cui si pensava era il bar, l’irrinunciabile bar del porto, ritrovo ritemprante di ogni navigante. Un gin ghiacciato o un rum liscio, al bancone, aiutavano a levarsi l’incrostazione salina dalle labbra e a sciogliere la lingua impastata. Luoghi di comunanza i bar del porto, di aggregazione della gente di mare al maschile (o quasi). Marinai, diportisti, pescatori lì incrociatisi per caso favorivano il rituale dell’incontro e quindi il dialogo, dal quale l’intesa o l’antagonismo. Su tutto, il senso di appartenenza al mutevole ambiente acquatico solcato da sloop e da gozzi, da cutter, da lampare e da paranze. Posti unici, quei bar, per attingere e far circolare informazioni, avanzare congetture, illustrare metodi di pesca; mostrare e magari scambiare carte e strumenti nautici, mappe costiere, libri; comporre una lettera, raccontare storie di naufragi, di spiagge scoperte su minuscole isole, di rotte aperte nel blu cupo dell’alto mare, di generose pescate coi palamiti e con le nasse, di avventure spulciate dai giornali di bordo. Derivati da taverne e bettole di porto, occupavano rimesse e magazzini in disuso con cucina da riattare.

Una cucina sempre accesa per pietanze aromatiche fra coltri di fumo, spesso nauseanti, che non diradavano mai: si mangiava, si beveva e, alzando il gomito, le discussioni salivano di giri, scoppiavano le risse. La tipica atmosfera aleggiante in un bar del porto. Quanto fin qui esposto fa parte dell’immaginario alimentato da certa letteratura e da certo cinema che ci ha nutriti. Che ne è rimasto? I bar del porto si sono moltiplicati, sopra banchine e moli, a ridosso di insenature e calette. Un’insegna con la scritta «bar del porto», e la maglietta indossata dal personale con il logo che riporta la stessa dicitura, sono tutto ciò che lega a quell’immaginario i moderni bar del porto presenti in ogni porto. Perfino una darsena ampia quanto una piscina con una dozzina di barche di tre quattro metri ognuna, per i gitanti della domenica, dispone di un chiosco tirato su per l’estate e battezzato Bar del porto. Gli interni di quel tipo di bar riflettono un vago stile marinaro carico di arredi kitsch che tradiscono grossolanità e improvvisazione progettuale. Coloro che vi entrano, avventori occasionali o abituali, possono avere varie predisposizioni fuorché quella per il mare. L’espressione «bar del porto», abusata, è scaduta a mero espediente commerciale: di giorno, in quei bar, si smerciano coppette di gelato confezionato a famigliole con bambini urlanti; di sera si mette a punto il cerimoniale dell’aperitivo con protagonisti i giovani e i finti giovani. I lupi di mare, gli scabri sailor bar che in romanzi e film hanno stimolato la nostra fantasia, sono mai esistiti?