Banel e Adama. I due nomi risuonano come un mantra in peul nella luce abbagliante della savana, eco e suggello di un amore assoluto, che sfida il destino e le maldicenze. Una coppia di giovani che si sono sempre amati, Banel e Adama, ma la ragazza secondo le leggi del villaggio africano in cui vivono era stata data in sposa al padre di Adama, il quale però è morto e così il ragazzo per quelle stesse leggi aveva potuto prendere il suo posto. Una storia a lieto fine dunque? In realtà l’opera prima di Ramata-Toulaye Sy, in competizione allo scorso Festival di Cannes, più che un romance appare come un noir di ossessioni, superstizione, magia. Occhi veggenti, che sono quelli di un ragazzino quasi incarnazione della vendetta dei padri- e di un patriarcato crudele – e segni sparsi di maledizioni, a cominciare dalla siccità che devasta il villaggio, e che tutti addossano alla ragazza «colpevole» di avere distolto nel loro idillio il giovane Adama dai suoi doveri di capo condannando così l’intera comunità. O forse c’è qualcos’altro, qualcosa di indicibile, un segreto mortale?

L’autrice, trentaseienne, ha studiato alla Femis di Parigi – il film si basa sulla sceneggiatura di fine corso – è cresciuta nella capitale francese e come ha raccontato in una intervista al quotidiano «Libération», voleva essere critica – «Adoro leggere le recensioni, le leggo tutte e a volte non so neppure io perché, però le preferisco persino ai film». La sua cinefilia è certo visibile in Banel e Adama che appunto confrontandosi con una rivota alle regole della tradizione – volte a soffocare specialmente le donne – guarda alle figure femminili del noir, alle sue dark lady e ai loro gesti di sovversione rispetto a un ordine che le inchioda unicamente alla norma – famiglia, matrimonio, sottomissione. Banel è a suo modo una di loro, e lotta come può, armata della sua fionda, e di una mira che non lascia scampo, per mantenere il suo sogno di libertà, di essere felice, ponendosi su un limite per tutti inaccettabile anche per il suo amato. Tanto da farla impazzire proprio come spesso accaduto in passato ai tanti che hanno nel paesaggio controllato da vecchi e nuovi colonialismi hanno cercato di inventare rivoluzioni e di cambiare le cose nel profondo e da dentro, sfuggendo cioè ai dettami delle potenze internazionali.

INDIVIDUO contro comunità che chiede il sacrificio, che impone di piegarsi al rito, alle credenze religiose e ancestrali. Mito e quotidiano, realtà e fantastico stridono fra loro nei gesti della protagonista, in quel paesaggio arido (il film è stato girato nel nord del Senegal), prendendo molte direzioni, troppe forse intorno a quel femminile in lotta che finisce per essere anch’esso risucchiato da questo violento turbinio.