Banche, offerta Intesa-San Paolo per uno spezzatino veneto
Il gruppo disponibile a rilevare per un euro le good bank di Popolare Vicenza e Veneto Banca. Si replica il contestatissimo modello adottato per Banca Etruria, CariChieti & co. e la crisi si avvita potrebbe rischiare anche la clientela «di sportello»
Il gruppo disponibile a rilevare per un euro le good bank di Popolare Vicenza e Veneto Banca. Si replica il contestatissimo modello adottato per Banca Etruria, CariChieti & co. e la crisi si avvita potrebbe rischiare anche la clientela «di sportello»
Si va allo spezzatino per le due banche venete: good bank da una parte, e bad bank dall’altra. Insomma si replica il contestatissimo modello adottato per Banca Etruria & c., almeno a giudicare dall’unica proposta arrivata in tempo utile, visto che ieri scadeva il termine per presentare a Rothschild, consulente del Tesoro, le offerte per la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. La proposta è targata Intesa San Paolo, ed è limitata però solo all’attività commerciale dei due istituti di credito e alla rete di vendita. In altre parole alle future good bank. Mentre sono esclusi a chiare lettere gli acquisti dei crediti deteriorati (almeno 10 miliardi), di quelli ancora in bilico ma ad alto rischio, e delle obbligazioni subordinate. Per giunta Intesa chiede la «sterilizzazione» di «rischi, obblighi e impegni» che dovessero uscire fuori in futuro. Da qualche cassetto nascosto o in una cassaforte come, almeno ufficialmente, avvenne con i tristemente celebri derivati Santorini ed Alexandria di Mps.
La portata della notizia è tale che i primi commenti degli analisti sono improntati alla massima prudenza. «Sembra un’operazione troppo buona per essere vera – avverte Mediobanca – in primo luogo per Intesa San Paolo ma anche anche per il sistema bancario italiano, che si sarebbe dovuto far carico delle perdite delle due banche venete».
A CONFERMA, Piazza Affari chiude in rialzo dell’1,26%, con il comparto bancario che segna un +2,8% da record, almeno negli ultimi anni. La prudenza è d’obbligo anche per gli effetti collaterali del nuovo scenario: «La situazione resta ancora poco chiara – insistono gli analisti di Mediobanca – e sarà probabilmente confermata nei prossimi giorni. Con la principale ambiguità che riguarda chi si farà carico del conto delle bad bank, se lo Stato (cioè i contribuenti) o il fondo di risoluzione o quello di garanzia dei depositi (cioè le banche)».
Ultimo, ma non certo per ultimo, c’è l’interrogativo degli addetti ai lavori di Equita Sim: «Il punto di domanda è se il Mef sarà autorizzato a iniettare capitale nella bad bank da parte della Dg Comp». Cioè dagli uffici tecnici di una Commissione Ue che peraltro, con la richiesta di trovare privati pronti a mettere 1,2 miliardi, prima di dare il via libera alla «ricapitalizzazione precauzionale» chiesta dal governo italiano, aveva di fatto bloccato il piano A di Pier Carlo Padoan. Quello di utilizzare i soldi pubblici del decreto salvabanche per tappare le falle sia del Monte dei Paschi che delle due banche venete. Nel primo caso è andata. Nel secondo no, visto che sarà difficile che Bruxelles dia il via libera all’intervento statale che si faccia carico del costo miliardario delle bad bank.
ALTRI GROSSI PROBLEMI emergono dalla lettura della nota ufficiale con cui Banca Intesa formula la sua offerta. Prima di tutto precisando che prevede il pagamento di un «corrispettivo simbolico», in altre parole di quel singolo euro con cui Ubi Banca si è presa le good bank Etruria, Marche e CariChieti. Per giunta, a differenza di quanto fatto da Ubi che ha almeno dovuto ricapitalizzare per 400 milioni di euro, il principale gruppo bancario italiano esclude aumenti di capitale: c’è la disponibilità ad acquistare «purché a condizioni e termini che garantiscano, anche sul piano normativo e regolamentare, la totale neutralità dell’operazione rispetto al Common Equity Tier 1 ratio e alla dividend policy del Gruppo Intesa Sanpaolo».
A meno che l’offerta last minute di Intesa sia stata fatta per cercare di far prorogare il bando di vendita, lo scenario appare complicatissimo, prima di tutto per il governo. Nelle due assemblee di fine aprile sono stati approvati bilanci in profondissimo rosso, 1,5 miliardi di perdita per Veneto Banca e 1,9 per la Popolare di Vicenza. Inoltre la Bce ha rilevato che, per la definitiva messa in sicurezza dei due istituti di credito, è necessario un fabbisogno complessivo di 6,4 miliardi di euro, 3,3 per Vicenza e 3,1 per Montebelluna.
Oltre all’azionista unico Atlante e ai subobbligazionisti, che i soldi li hanno già persi, se la situazione si avvita potrebbe rischiare anche la clientela «di sportello». Con tutto quel che può conseguirne.
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