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Commissione banche, Lannutti nuova mina per la maggioranza

Commissione banche,  Lannutti nuova mina per la maggioranzaIl senatore 5 Stelle Elio Lannutti – LaPresse

Bari Il senatore candidato alla guida della commissione d’inchiesta, no di Pd e Iv. Nel M5S spunta il piano B ma Patuanelli lo difende

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 18 dicembre 2019

La tragicommedia di Elio Lannutti, roba più da commedia del grottesco che da drammatico scontro politico, diventa nel giro di una giornata allucinata una sorta di metafora del dissolvimento del M5S. Lannutti non diventerà presidente della commissione d’inchiesta sulle banche, ma la sua candidatura impossibile fa emergere per l’ennesima volta le lacerazioni interne a un Movimento senza più pace in una maggioranza anche più travagliata.

NONOSTANTE la conclamata impossibilità di essere eletto, nonostante all’ombra indelebile del post antisemita messo in rete in gennaio «per errore» si sia aggiunto l’imbarazzante particolare che vede suo figlio dipendente proprio della Banca popolare di Bari, nonostante nello stesso M5S siano in molti a spingere per il passo indietro, Lannutti tiene duro. Va da Beppe Grillo con Antonio Di Pietro, già suo capopartito nell’Italia dei Valori, in veste di avvocato difensore. Ripete ai quattro venti che non ritirerà mai la candidatura. In serata incassa la solidarietà di tutti i senatori 5 Stelle della commissione Finanze: «Sta andando in scena un vile attacco. Il profilo di Elio Lannutti fa evidentemente paura a chi teme che la commissione possa partire e fare bene il suo lavoro. Ci stringiamo intorno a Elio, difendendo la sua candidatura».

Luigi Di Maio non interviene. Forse è solo un’abdicazione al ruolo di leader. Forse, ben più probabilmente, vuole fare della vicenda l’occasione per un braccio di ferro decisivo nel M5S ma anche nella stessa maggioranza. Parla invece il ministro dello sviluppo Stefano Patuanelli: «La capacità di Lannutti non si può discutere»

PER QUANTO RIGUARDA il «conflitto di interessi» legato al lavoro del figlio, che è solo un dipendente della Banca pugliese e non un dirigente, i difensori hanno probabilmente ragione. Anche le proteste di Lannutti, che nega di essere mai stato antisemita e minaccia querele, non sono del tutto infondate. Il senatore viene dal Pci, è stato per anni dirigente della Cgil, a sinistra è tutt’altro che uno sconosciuto. È probabile che il post delirante col quale denunciava la cospirazione mondiale delle banche, citando a sostegno il testo base dell’antisemitismo moderno e nazista, i falsi Protocolli dei Savi di Sion, fosse ai suoi occhi soprattutto un modo per denunciare le trame della finanza mondiale e che non si fosse reso conto dell’immensa valenza antisemita del suo testo.

Ma questo certo non depone a favore della sua adeguatezza a guidare uno strumento delicato come una commissione d’inchiesta sulle banche. Né si può liquidare la sparata antisemita con un «Mi scuso: ho sbagliato».

LA CANDIDATURA di Lannutti era già fuori gioco sin dal mattino. Impossibile per il Pd e Italia viva appoggiarlo. «Di Maio deve dichiarare che uno così non può fare il presidente della commissione banche. Sicuramente non avrà i nostri voti», dichiara subito Emanuele Fiano. Luigi Marattin, Iv, conferma: «Serve un presidente che non sia lui. Mi accontento di uno capace di distinguere una banca da una pentola a pressione».

Tra i pentastellati la tentazione di mollare lo scomodo candidato cresce di ora in ora. La lista delle possibile alternative circola ovunque: il deputato Alvise Maniero, secondo più votato dopo Lannutti, Laura Bottici, questore del Senato, Carla Ruocco, presidente della commissione Finanze di Montecitorio.

MA LANNUTTI NON CI STA. Punta i piedi. Invoca l’intervento di Di Pietro per «difendere il suo onore» e l’ex pm si presta: «Lo attaccano perché temono la sua preparazione». L’ala del Movimento più vicina alla Lega, a propria volta favorevole a Elio Lannutti, si stringe intorno al candidato, con Gianluigi Paragone, in predicato per la presidenza prima di lui, in prima fila. Luigi Di Maio si disinteressa e tace anche al suo ritorno dalla Libia. Lannutti chiarisce comunque la sua lealtà al traballante leader: «È l’unico possibile». La spaccatura, salvo possibili ma improbabili ripensamenti, andrà in scena in aula, come profetizza la viceministra 5 Stelle dell’Economia Laura Castelli. Per la maggioranza sarà, nel caso, una ferita profonda. Per il M5S un passo ulteriore verso la deflagrazione.

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