«Perché quel che vediamo non è tutto il visibile», affermava Massimo Oldoni nella sua entusiastica Introduzione al Medioevo fantastico, uscito per la prima volta esattamente mezzo secolo fa. L’affermazione è quasi una epigrafe all’opera di Jurgis Baltrušaitis (1903-’88), lo storico dell’arte lituano naturalizzato francese, noto al pubblico italiano grazie alla proditoria opera di traduzione portata avanti da Adelphi, e all’acume raffinatissimo di Roberto Calasso che di Jurgis e della moglie Hélène divenne amico, frequentando l’appartamento di Villa Virginie a Porte d’Orléans.

Disegno di Jurgis Baltrušaitis da un bassorilievo di Santa Maria de Aguilar de Campóo

Visibile e invisibile agli occhi. L’opera di Baltrušaitis oscilla in effetti tra questi due poli. Da un lato vi è lo storico delle forme degli anni venti e trenta, l’allievo di Henri Focillon, che del metodo del francese dà tuttavia un’algida interpretazione purovisibilista (Baltrušaitis conosceva bene il mondo della Kunstwissenschaft).

E poi vi è il Baltrušaitis che, dopo la morte del maestro all’indomani del secondo conflitto mondiale, prende altre strade, incamminandosi sui sentieri intricati e insidiosi della storia della cultura, disseminandoli, per non perdersi, di una miriade di immagini. Non iconologo in senso stretto, ma certo con punti di tangenza con il circle warburghiano, Edgard Wind, Fritz Saxl, ma soprattutto il Rudolph Wittkower delle Marvels of the East (1942) e dei saggi riuniti nel postumo Allegory and the Migration of Symbols (1977).

È questo ‘secondo’ Baltrušaitis quello più noto, l’esploratore che compone la «leggenda delle forme», l’esegeta dei grandi temi sedimentati e risorgenti nella cultura occidentale, dell’imagerie medievale, dei prodigi e dei portenti del gotico, ma anche il Baltrušaitis delle distorsioni ottiche e degli inganni dell’occhio : anamorfosi, aberrazioni, specchi.

Tuttavia tra il giovane studioso dei sistemi ornamentali medievali e l’appassionato rabdomante del fantastico si può scorgere una linea di continuità. È come se Baltrušaitis volesse proporre una nuova definizione dell’iconografia, intesa come analisi della genesi delle forme, osservate nel loro processo interno di formazione strutturale e nel loro procedere geografico da una cultura all’altra. Pubblicato nel 1931 (stesso anno de L’art des sculpteurs romans del maestro Focillon), La Stylistique ornementale dans la scultpure romane propose un nuovo modo di studiare la scultura romanica, non senza attirarsi accese critiche da parte degli archéologues medievali. Baltrušaitis vi ripercorreva la storia dei motivi decorativi, elaborando una grammatica visiva che, come ogni genetica evolutiva che si rispetti, partiva dai motivi più semplici (i viticci), per mostrarne le successive trasformazioni (per accrescimento, duplicazione simmetrica, giustapposizione, intreccio) in forme complesse: foglie ad asso di cuore, palmette, fleur des lys, tralci a più capi, e via via continuando, fino all’inclusione in quei sistemi vegetali di animali e esseri umani, e fino alle loro déformations metamorfiche in ibridi e mostri.

Ora, nell’analisi di Baltrušaitis un ruolo particolare è affidato al disegno; tutte le sue pubblicazioni, ricchissime di illustrazioni, comprendono croquis di suo pugno, non meri complementi alla lettura, ma vere e proprie immagini parlanti. Jurgis Baltrušaitis fu senza dubbio uno degli storici dell’arte più prolifici nella pratica del disegno come strumento di studio, il suo è un corpus sterminato che andrebbe ricostituito e studiato. Disegni scarni, semplificati, quasi elementari, pure linee tracciate in modo sicuro sul bianco del foglio, attraverso cui lo storico dell’arte riesce a comprendere la genesi, appunto, di un’immagine. Per Baltrušaitis il disegno ha uno statuto autonomo, non meno importante della lettura e della scrittura. E che di statuto scientifico si tratti lo dimostra il fatto che tali schemi grafici sono sovente ridotti a Idealtypus e spesso marcati da lettere alfabetiche, pratica importata dal linguaggio convenzionale della geometria.

Disegno di Jurgis Baltrušaitis da un bassorilievo di Sainte-Eutrope a Saintes

È con questo occhio-compasso che Baltrušaitis indaga il fantastico, in cui scorge una chiave di accesso alla cultura occidentale. E di colpo quest’ultima diventa meno eurocentrica; o meglio, l’Europa stessa si rivela necessariamente plurale. I confini si dilatano a Est, affiorano i legami sotterranei con le antiche radici caucasiche, con l’Armenia e la Georgia, che il giovane studente della Sorbona aveva visitato in groppa a muli e cavalli, documentando con la sua macchina fotografica un ricco repertorio di formule geometrico-astratte e di temi iconografici, poi rintracciati sottotraccia nella scultura romanica d’Occidente. Un metodo investigativo su base comparata che ricorda da vicino l’operazione condotta in quegli anni da Georges Dumézil, anche e soprattutto per la centralità accordata alla cultura indoeuropea nel suo berceau caucasico. Ma di qui Baltrušaitis ripartirà, per addentrarsi nelle steppe iraniche, fino a sorvolare l’Indo, spingendosi in Cina e in Mongolia, svelando così i meccanismi di trasmissione delle meraviglie esotiche nell’Europa medievale e poi in quella dei Gesuiti.

Una ricerca antropologica di inusitato respiro, condotta per decenni sull’immaginario e i suoi codici. Se vogliamo, un progetto intellettuale non dissimile da quello di Frazer o di Curtius, dove le forme visive prendono il posto dei miti e dei tòpoi letterari. Occhio finissimo quello del lituano, pupilla vivacemente tesa ora al microscopico ora al cosmico, e penna dal forte potere evocativo, suggestivo, in cui le filogenesi morfologiche camminano, cavalcano e si intrecciano, come in un roman medievale.

Questa dimensione di amplissimo respiro, questa fascinazione per le cartografie sterminate, è stata alla base del successo dell’opera di Baltrušaitis. Successo e fama non avevano però segnato quest’uomo schivo, nella cui vita intensissima vi furono anche lunghe ombre, allungate soprattutto sul rapporto con la natale Lituania. Rapporto intensissimo, ma difficile da vivere negli anni della Guerra Fredda e della Cortina di Ferro, un cordone ombelicale ancestrale che lo studioso si era sforzato di tener vivo, negli anni, assumendo anche incarichi ufficiali: Baltrušaitis fu infatti addetto culturale della Delegazione lituana a Parigi, negli anni trenta e poi nei primi anni cinquanta. Anche il padre poeta, Jurgis Baltrušaitis senior (1873-1944), dal 1920 si era trasferito a Mosca dove aveva assunto alte funzioni diplomatiche e culturali. Adolescente, Jurgis crebbe in quegli anni di effervescenza intellettuale attorniato dagli amici del padre, artisti delle avanguardie come Ulianov e Gontcharova, ascoltando i poemi sinfonici di Skrjabin, e soprattutto frequentò i teatri moscoviti, conoscendo Stanislavskij, Mejerchol’d, Jakulov, Gordon Craig.

Disegno di Jurgis Baltrušaitis da un bassorilievo di Saint-Martin du Canigou

Boris Pasternak fu grande amico dei Baltrušaitis; nella sua Autobiografia racconta con vivide parole che nell’estate del 1914 («l’estate della siccità e della eclissi totale di sole») fu invitato a soggiornare nella loro casa di campagna, e che qui seguì negli studi il piccolo Jurgis. Baltrušaitis senior frequentò spesso, a inizio Novecento, anche l’Italia, in particolare Firenze, dove si legò a Eva Amendola Kühn, che ne tradusse alcune raccolte, e a Giovanni Papini, che ne darà un intenso ritratto in Passato Remoto; e il gran visionario Dino Campana prese in prestito un verso del lituano per i suoi Orfici: «tutto era mistero per la mia fede, la mia vita era tutta “un’ansia del segreto delle stelle, tutta un chinarsi sull’abisso”» (La Notte).

Gli anni venti passarono come il vento, e con l’inasprirsi del regime il padre di Baltrušaitis sviluppò una sotterranea critica ai soviet; fu così che si adoperò per mettere in salvo intellettuali russi non graditi, ma anche alcune tele di Chagall, che fece recapitare a Kaunas nascoste in un pacco diplomatico. Il figlio si mosse in questo spirito fortemente critico all’indomani del Patto Molotov-Ribbentrop e dopo la seconda guerra mondiale, promuovendo dalla Francia dibattiti internazionali sul destino della Lituania e diffondendo la sua antica cultura.

Alla metà degli anni trenta lo storico dell’arte insegnò all’Università di Kaunas, e in quel periodo pubblicò un manuale di storia dell’arte – Visuotinė Meno Istorija (Storia universale dell’arte, in due volumi, 1934-’39, riedito nel ’92 dalla casa editrice Svieša) – ponderosa opera che dalla preistoria giunge fino al tardo medioevo. Baltrušaitis dedicò inoltre buona parte dei suoi studi all’arte popolare baltica, prima realizzando un’importante mostra al Trocadéro nel 1935, poi pubblicando un volume poco noto, Lithuanian Folk Art (Monaco 1948), libro dagli accenti nazionalisti, in cui si ripercorrono le origini lontane della Baltia, i suoi miti e credenze commisti di paganesimo panteista e di cristianesimo, sedimentatisi in oggetti votivi, croci e tempietti disseminati nei boschi, piccole lanterne devozionali, statuette lignee della Madonna e dei santi.

Baltrušaitis studiava l’arte del suo paese affidandosi alle tradizionali ricerche sul folklore, ma tenendo ben presenti i dati storici, linguistici e religiosi, tessendo un intreccio inestricabile tra lingua e mito. Non è un caso che Algirdas Greimas avesse compreso il valore di queste ricerche; la sua voce era stata una delle poche a tenere alto il nome dello storico dell’arte nella repubblica sovietica di Vilnius.

È invece sufficiente scorrere oggi il catalogo della Biblioteca Nazionale di Lituania per rendersi conto di come la caduta dell’URSS e la successiva integrazione europea abbiano come scoperchiato un vaso di Pandora, riabilitando in patria la figura dello storico dell’arte, con una ripresa di interesse che si intensifica negli anni Duemila. Nell’ottobre 2016 a Vilnius si inaugura una significativa mostra di disegni inediti – Jurgis Baltrušaitis’ Manuscripts. For All and None – attorno a cui ruotano conferenze e un piccolo ma prezioso catalogo. L’artefice di questa iniziativa è Odeta Žukauskiene, studiosa che da tempo conduce un approfondito studio sulla figura di Baltrušaitis. Esito di questa vigorosa ripresa di studi, in occasione dell’anniversario della nascita, nella primavera del 2023 si terrà a Vilnius il congresso internazionale ‘Jurgis Baltrusaitis 120: The Fluidity of Art History and Imagination’, che tenderà a ricomporre l’opera intellettuale dello storico delle forme nella sua completezza, in un’ampia prospettiva interdisciplinare, quale la sua mente polimorfa merita.