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Ballo di fine anno per il governo. In pista il Conte ter

Ballo di fine anno per il governo. In pista il Conte ter

Aggiungi un posto a tavola Pd e 5S presentano le proposte sul Recovery Plan. Il premier pronto alle modifiche, ma sul rimpastone palazzo Chigi fa muro

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 30 dicembre 2020

Palazzo Chigi tace. Dopo l’attacco di Matteo Renzi, quasi un’apertura formale della crisi, Conte non fa filtrare nulla che indichi come pensa di affrontare una situazione arrivata al limite. Italia viva continua a martellare: «Sta a Conte decidere se rispondere positivamente alle nostre questioni o continuare con supponenza e arroganza». Nel qual caso, aggiunge la ministra Teresa Bellanova, «il Ciao diventerà un addio». Anche il capo torna a insistere: «Non chiedo che vengano accettate tutte le nostre proposte ma almeno che si leggano. Basta con le meline perché rischiamo di romperci l’osso del collo e di finire strangolati dal debito».

PUNTURE CHE NON ARRIVANO a destinazione. Se Giuseppe Conte ha deciso quale strategia adottare lo farà capire stamattina, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno. Ma la previsione, anche all’interno della maggioranza, è che nella sostanza concederà pochissimo. Certamente accoglierà alcune e forse molte delle indicazioni che vengono non solo da Iv ma dall’intera maggioranza. Renzi non ha tutti i torti quando si vanta: «Venti giorni fa eravamo gli unici a porre dubbi sul merito e sul metodo del Piano. Oggi tutte le forze della coalizione hanno proposte alternative e chiedono correttivi». Per la verità le critiche sia al testo che alla governance erano state immediate, ma Italia viva è il solo partito che le abbia fragorosamente esplicitate.

IERI IL MINISTRO dell’Economia Roberto Gualtieri ha incontrato le delegazioni del Pd e dei 5 Stelle, oggi sarà il turno di LeU e delle Autonomie, oltre all’incontro chiave con Iv. Le richieste di modifica del Nazareno sono numerose e profonde: più fondi per sanità, infrastrutture, cultura e Sud ma anche per una riforma del lavoro.

LeU suonerà la stessa musica ma a volume più alto: ritiene che l’assenza di fondi per le infrastrutture sociali lasci scoperta la linea strategica indicata dalla Ue sull’inclusione sociale e denuncia la scomparsa di ogni programma per colmare il divario tra Sud e resto d’Italia, oltre a insistere per una politica verde non limitata a microprogetti. Sulla governance il Pd insiste su un ruolo «sussidiario» anche se il disegno di Conte ha incamerato ieri un appoggio importante, quello del commissario europeo Paolo Gentiloni, favorevole all’uso di «procedute straordinarie» per l’attuazione del Recovery Plan in Italia.

MA SU TUTTO QUESTO un punto di caduta e di mediazione, ammesso che Renzi rinunci al capitolo Mes, dovrebbe essere possibile trovarlo. Ma non è questa la posta in gioco e quindi molto, se non tutto, dipende dalla linea che il premier sceglierà di seguire. La posta in gioco non è più la testa di Conte ma un Conte ter del quale Renzi confida che si «accontenterebbe». Sarebbe un governo molto diverso da questo, con il premier ridimensionato dalla nomina di due vicepremier, Luigi Di Maio e e il vicesegretario dem Andrea Orlando, ma anche dall’ingresso di Matteo Renzi come titolare di un ministero chiave.

IL PD ACCETTEREBBE. Ieri il segretario Nicola Zingaretti si è tenuto come sempre in equilibrio: «Siamo contro atteggiamenti e azioni che rischiano di degenerare in avventure confuse ma chiediamo un rilancio dell’azione di governo». La realtà è che al Pd, come a Di Maio, il Conte ter andrebbe benissimo. Potrebbe anzi risolvere il disagio crescente nei confronti della centralizzazione di ogni decisione a palazzo Chigi. La paura del Nazareno è però che lo scossone provochi lo smottamento di una parte dei 5S, paura non certo campata per aria, e che la crisi, da pilotata come anche negli auspici del Colle, si trasformi in non governabile.

Il punto interrogativo principale è proprio Conte. Nessuno scommetterebbe sulla sua disponibilità ad accettare una formula che, pur senza disarcionarlo, ne limiterebbe ruolo e poteri. Non è un mistero che il premier sia contrario all’ipotesi dei vicepremier e intenda mantenere il controllo diretto sui servizi segreti, elemento diventato di giorno in giorno più centrale anche simbolicamente. Ma senza il supporto di Conte anche le probabilità di un terremoto tra i 5 Stelle si moltiplicherebbero.

L’ELEMENTO ASSURDO, in questo quadro, è che proprio il Pd, cioè il partito al quale spetterebbe per struttura e ruolo il compito di guidare la crisi, ne sia invece travolto. Ridotto a guardare, anzi a subìre, mosse e scelte di Renzi e di Conte. Senza alcun ruolo.

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