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Balla coi lupini, il ritorno di un antico cibo proteico

Balla coi lupini, il ritorno di un antico cibo proteico

Dal Vocabolario bergamasco italiano latino dell’Abate Giovanni Battista Angelini (prima metà ’700): «Lupino: sorta di biada nota, che fa i baccelli simili alle fave. I lupini da sarchiar non sono». […]

Pubblicato più di un anno faEdizione del 25 maggio 2023

Dal Vocabolario bergamasco italiano latino dell’Abate Giovanni Battista Angelini (prima metà ’700): «Lupino: sorta di biada nota, che fa i baccelli simili alle fave. I lupini da sarchiar non sono». Ma menziona anche da Boccaccio nelle sue novelle «dove io ho veduto merendarsi le donne, e mangiare lupini, e porri» e pure da Lorenzo de Medici che declamava «donne i nostri lupin dolci. Noi non sianne punto avari».

PERCHE’ I LUPINI fanno parte del nostro panorama agricolo e alimentare da secoli, con alterne fortune e reputazioni: il lupino è buono per «ingrassare i campi» e «e diviene un cibo, di cui la plebe in molti luoghi, specialmente in Firenze ed in Roma, ne mangia in abbondanza risparmiando del pane». E, infatti, le fusaje nei cartocci sono amarcord infantile di noi boomer romani mentre ora si rinvengono più raramente come snack di eleganti aperitivi, con un consumo complessivo fortemente ridotto e circoscritto nel Sud o in Sicilia dove ancora persiste la memoria letteraria del naufragio dei Malavoglia e la perdita del carico di lupini che tanta malasorte causò.

E IL NAUFRAGIO DI QUESTA coltura, come di altri legumi negletti, è un po’ emblema della sventura che accompagna la semplificazione dei nostri sistemi agrari, dominati da poche colture su ampie superfici, e delle nostre diete, centrate su cereali e prodotti zootecnici in un quadro di crescente obesità e malattie non trasmissibili associate all’alimentazione.

DI QUI IL POSSIBILE recupero di ruolo per i legumi e i lupini, in particolare, una fonte alimentare ricca in proteine (intorno al 37-40%) e di proprietà nutraceutiche; adatti a diabetici, ipercolesterolici e celiaci o a chi soffre di ipertensione; facilmente digeribili, grazie alle fibre in essi contenute, contribuendo alla regolarità intestinale e al senso di sazietà foriero di dimagrimento o mantenimento del peso forma come molti altri legumi. Offrono un contributo importante anche in termini di vitamine (soprattutto folati, niacina, B6 e beta carotene), grassi di ottima qualità e minerali (zinco, ferro, calcio, potassio, manganese). Fossimo veramente ossessionati dall’alimentazione e fiduciosi dei poteri taumaturgici dei superfood, il lupino sarebbe uno di loro. Peccato che il consumo sia sporadico e limitato ad alcune aree del Paese, non stimolandone la coltivazione che, dai quasi 40 mila ettari dei primi anni ’60, è ridotta alle poche migliaia attuali. Superficie forse anche generosa se si considera che non sempre si coltiva il lupino per la sua granella, ma anche usandolo come sovescio per «ingrassare la terra».

DEI SUOI BENEFICI, come delle ragioni della dimenticanza di tale coltura, si occupa il progetto europeo di ricerca Divinfood che pone al centro del suo lavoro il recupero di cereali minori e di legumi da granella. Istituzioni di ricerca come Firab e Crea in Italia e FiBL in Svizzera lavoreranno per 5 anni sui lupini a partire da un’analisi del sistema alimentare e dei contesti di consumo per poter a ritroso individuare opportunità di trasformazione e commercializzazione della granella e dei prodotti derivanti, valutare le migliori condizioni di coltivazione e definire percorsi di miglioramento partecipativo delle varietà.

L’ATTIVITA’ DI STUDIO e sperimentazione seguirà le indicazioni e le esigenze espresse dai portatori di interesse partecipanti al Living Lab sul lupino che in Italia abbraccia vari territori del Centro-Nord e in Svizzera sia la parte di lingua tedesca che francese. Attenzione particolare verrà posta sulle strategie per superare uno dei vincoli allo sviluppo delle diverse filiere possibili (dai prodotti simil-caseari come yogurt e formaggi vegetali, a prodotti da forno arricchiti di farina di lupino, all’hummus) dato dalla presenza di alcaloidi antinutrizionali che richiedono laboriose attività di deamarizzazione, non ultimo usando consistenti quantitativi di acqua, fonte di una discreta impronta idrica.

AL CONTEMPO, IL LUPINO può avere un forte potere agglutinante: non tanto da un punto di vista tecnologico, quanto sociale e territoriale, come testimoniato dal lavoro dei coltivatori custodi di varietà locali, quali quelli della comunità del cibo della Maremma o del lupino bianco di Recanati riuniti insieme ad altre aziende lupinare nella «comunità di pratiche» che farà ballare coi lupini tutto il Living Lab. Per saperne di più e contatti: https://www.firab.it/divinfood/ e firab@firab.it.

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