Andrea Sorini, il regista, lo presenta così: «Nel film c’è sicuramente un legame con la fantascienza, in una cornice un po’ fantastica che inizia con l’atterraggio di una specie di sonda, come se stessimo esplorando un pianeta sconosciuto. E il nostro approccio è stato proprio quello di alieni che vanno in una terra ignota. Poi però, attraverso l’esplorazione di quegli spazi, la fantasia ha finito per alimentarsi con la realtà che si è trovata di fronte». Tra i riferimenti il giovane regista (è nato nell’88) qui alla sua opera prima – dopo alcuni cortometraggi e la sceneggiatura insieme a Fulvio Risuleo del suo Guarda in alto – cita Guerre stellari, Solaris, ma anche le fotografie di Ghirri, riferimenti assai diversi che pure nel paesaggio lunare in cui ci porta con le sue storie possono convivere, e addirittura far nascere qualcosa di diverso.
Baikonur, Terra, vincitore del concorso Prospettive 2018 di Filmmaker festival, si presenta per questo come un esordio consapevole del proprio mezzo, l’immagine, e soprattutto il cinema, senza però arroganza, ma con lo sguardo di chi mette al centro una grande passione, e riesce perciò a accarezzare con grazia, e a distanza ravvicinata, i luoghi e le figure che abitano il suo film. Del resto: come a resistere a Yuri Gagarin e al suo invito: «Alzate la testa»? Fa dunque una bella scelta Fuori orario – Rai3, domani, ore 1,05 – a presentarlo in prima tv, in quell’esplorazione di nuovi talenti di un cinema italiano «eccentrico» in cui scoprire le energie che alimentano le sue spinte più vitali.

SIAMO nel centro abitato di Baikonur, base spaziale ex sovietica e oggi russa, nel cuore del Kazakistan dove tutto – anche la fede – sembra essere rivolto all’esplorazione dello spazio. «Dal 1988 benediamo i razzi e gli astronauti, è la prova che siamo diretti verso la stessa meta», dice un prete ortodosso davanti alla prima icona della Madonna lanciata nella volta celeste. Da qui sono partiti il primo Sputnik nel 1957 e, appunto, la leggendaria missione di Gagarin pochi anni dopo. Ma è anche dove è avvenuta la catastrofe di Nedelin, il 24 ottobre 1960, quando il lancio di un nuovo razzo uccise un centinaio di persone tra civili e militari – i fatti vennero occultati dal gioverno sovietico di Kruscev, e le vittime attribuite a un incidente areo. Ognuno di questi luoghi insomma, dal cosmodromo alll’abitato che lo circonda porta in sé i segni della Storia: la Guerra fredda, la corsa allo spazio, l’impatto della tecnologia sulla natura che ha desertificato buona parte dell’immenso lago Aral.

E OGGI, cosa accade oggi che lo spazio continua a essere oggetto di ricerche, investimenti, meta di esplorazioni senza però quell’aura mitica dei primi tempi, quando il futuro poteva essere solo progresso, e grandi cambiamenti, e forse persino regalare dei sogni? Eppure, come dice qualcuno, a Baikonur tutti hanno imparato a guardare verso le stelle.
Sorini si avvicina a quel mondo davvero come se sbarcasse su un altro pianet il cui orizzonte emana bellezza, seduzione: come riuscire a mostrarne le sfaccettature, i conflitti senza perdersi nella sua potenza? Intanto si sta lavorando a una nuova missione Soyuz, che indaga sulle possibilità di vivere nelle stazioni spaziali, e lì, nell’immaginario che sconfina nella realtà si compie il percorso del film, una relazione di specchi, un confronto, un dualismo tra il cosmo e la terra che sembrano toccarsi ma in una dimensione quotidiana, nella quale vivono con chiarezza i conflitti del nostro tempo.

TUTTO però scorre fluido, nel tempo di quel posto e del film, Sorini sa porre le questioni senza sovrapporre letture, un po’ come lo spazio anche il suo film è aperto, e nel suo movimento rimangono l’ignoto, la scoperta, quel saper guardare come gesto di cinema.