Bahrain, giovani contro il re stanchi dell’opposizione moderata
Golfo Nei centri sciiti più poveri cova la rabbia della nuova generazione bahranita contro il regime e lo scetticismo nei confronti della linea cauta dei leader dell'opposizione tradizionale
Golfo Nei centri sciiti più poveri cova la rabbia della nuova generazione bahranita contro il regime e lo scetticismo nei confronti della linea cauta dei leader dell'opposizione tradizionale
«Le vedi quelle auto della polizia? Restano ferme lì per gran parte della notte e del giorno, all’ingresso di Muhazza, pronte ad intervenire. Mandarle via è difficile, la reazione (delle forze di sicurezza) è sempre più dura». Hassan, ha 21 anni. Siamo obbligati a nascondere la sua vera identità per evitargli l’arresto. Parlare ai giornalisti stranieri è un crimine nel Bahrain di re Hamad bin Isa al Khalifa e i giovani sono presi particolarmente di mira da un regime che fa ciò che vuole, indisturbato, grazie anche all’appoggio che riceve dalle altre monarchie del Golfo e da importanti paesi occidentali, come Usa e Gran Bratagna. «Se sei un giovane sciita la polizia ti considera automaticamente un pericolo potenziale – aggiunge Hassan – sei guardato a vista quando vai in città o incontri delle persone. La tua posta elettronica e i tuoi post sui social sono seguiti con attenzione. Non sono un attivista politico ma lo diventerò se l’oppressione non finirà. Non si può restare immobili senza fare nulla».
Hassan è uno dei tanti giovani di Muhazza, Al Eker, Nuwaidrat, Maameer e tanti altri villaggi e località che hanno legato il loro nome a quello di Sitra, la ”regina della rivoluzione” del 2011 repressa nel sangue dalla monachia con l’aiuto degli Emirati e dell’Arabia saudita. L’opposizione più concreta alla monarchia assoluta oggi è proprio questi centri abitati. Squallide case popolari, abitate da famiglie a basso reddito, che stridono con l’immagine più comune del Bahrain all’estero fatta di larghe superstrade e grattacieli di vetro. Un’opposizione tenuta insieme più dall’avversione al regime che da un programma politico vero e proprio, che coniuga rivendicazioni politiche ed economiche e va oltre la battaglia per le riforme democratiche portata avanti per oltre venti anni dall’opposizione tradizionale. «Rispetto quelle persone e i prigionieri politici», ci dice Muhammad, 20 anni, studente universitario, residente a Sitra. «Tuttavia», aggiunge, «hanno fatto il loro tempo, il loro progetto è fallito. Hanno cercato per anni di negoziare con il re e non hanno ottenuto nulla. Dobbiamo seguire nuove strade che ci portino alla democrazia ma anche lavoro e uguaglianza economica con i sunniti (la minoranza della popolazione che sostiene il re, ndr)».
A quali «nuove strade» si riferisca il giovane non è ben chiaro. Parlava della lotta armata? Governo e servizi di sicurezza la scorsa settimana hanno annunciato mandati di cattura per 169 persone accusate di far parte di un «gruppo armato simile a Hezbollah» in Libano e finanziata e armata dall’Iran. Con ogni probabilità ne hanno ingigantito la consistenza allo scopo di colpire l’opposizione. E non è peraltro facile valutare tra i giovani la forza degli haqisti, i sostenitori del religioso estremista Hassan Mushaima, il leader del movimento Haq, che chiede la fine della monarchia e l’instaurazione della repubblica.
I giovani sono arrabbiati e non seguono più i leader moderati dell’opposizione. Le loro richieste sono radicali rispetto all’opposizione tradizionale. Durante le manifestazioni lanciano molotov, in alcuni casi anche piccoli ordigni artigianali. I loro slogan sono diretti, inequivocabili. «Alcuni ci dicono di non esagerare, di evitare la violenza. Non hanno capito che è il regime che ci spinge verso di essa». I giovani bahraniti vogliono anche la fine del sistema economico che produce un tasso di disoccupazione del 15%. «Re Hamad è un criminale», dice Hassan «è responsabile dell’uccisione di tante persone: lui e la sua famiglia controllano l’intero paese e la sua ricchezza».
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