Cultura

Bachmann e Callas, l’incontro sonoro di due esperienze incarnate

Bachmann e Callas, l’incontro sonoro di due esperienze incarnateIngebrog Bachmann

SCAFFALE Sull'ultimo libro di Laura Boella, «Con voce umana», edito da Ponte alle Grazie

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 7 luglio 2022

Si scrive perché la gioia. Come nell’inverno del 1956, a Milano, quando Ingeborg Bachmann assiste a una prova generale di «Traviata» e scopre Maria Callas; come, nuovamente, accade nel 2020, quando Laura Boella incontra Omaggio a Maria Callas, di Bachmann. E succede oggi a chi ha letto Laura Boella, Con voce umana. Arte e vita nei corpi di Maria Callas e Ingeborg Bachmann (edito da Ponte alle Grazie, pp. 128, euro 14), il libro che racconta di questa, e altre congiunture.

INCONTRI REALI, concreti, vissuti. L’esperienza del soggetto che attribuisce all’incontro un valore di «salto» – dalla semplice contingenza a scoperta esistenziale di sé – è legata all’empatia, da intendersi non come sentimento morale ma come apertura verso l’altro. In una lettera del 16 agosto 1962 (posta a epigrafe in Laura Boella, Le imperdonabili, Mimesis, 2013), Bachmann scrive a Arendt: «Non ho mai dubitato che ci dovesse essere qualcuno come Lei, ma ora Lei c’è realmente, e la mia gioia straordinaria per questo durerà sempre».
L’incontro dona «scosse», e gioia. Si comprende, così, come quell’improvvisa illuminazione avuta da Bachmann, e della quale ci racconta Boella, avvenuta nel tempio dell’ascolto, il teatro alla Scala, sia – ancor prima di un fatto di cronaca – un avvenimento simbolico capace di travalicare le protagoniste e trasformarsi in messaggio universale. Ricorda Bachmann: «e ascoltavo e guardavo apatica, fino all’attimo in cui un movimento, una voce, una presenza simultaneamente provocarono in me una scossa, quale solo un urto fisico, o un veemente intendimento, un atto mentale sono in grado all’improvviso di produrre. Su quel palcoscenico c’era una creatura, un essere umano».
Il poeta fa di quel crocevia il segno della lingua. È il manifestarsi drammatico, carnale, del mistero di una voce creaturale capace di vibrare dell’infinito nella finitudine del corpo, il rovesciarsi del cielo sulla terra. Un’epifania.

L’ESPRESSIONE «creaturale» – come ricostruisce Silvia De Laude nel suo saggio La rondine di Pasolini (edito da Mimesis nel 2018) – è un neologismo che appartiene a Auerbach, «un vero termine tecnico, riferito a un modo di rappresentare la realtà che “non arretra davanti ad effetti estremi”, e come è proprio dell’“antropologia cristiana” mette “in forte risalto ciò che nell’essere umano è soggetto a dolore e caducità”». Il canto di Maria Callas prorompe dalle emozioni di una creatura destinata al dolore, alla sconfitta, e che, senza ali, si scaglia generosamente verso l’alto oltre se stessa. A rendersi manifesto, nell’attimo dell’intuizione, è il mistero dell’arte come modulazione dell’umano, come espressione dell’esperienza della gioia disperante, cioè quell’abbandonarsi alla pulsione di un desiderio infinito rimanendo nei confini del corpo, una gioia che è tanto più intensa, quanto destinata a non trovare appagamento.
Inserendo il componimento La Boemia è sul mare, Boella innesta nel corpo di Maria Callas quella che Bachmann definì «l’ultima poesia», e un’altra voce dagli abissi del Reale sembra rispondere a Tosca: «Ecco, un poeta». Dice, infatti, Bachmann: «Per me [La Boemia è sul mare] rappresenta un dono e io devo soltanto consegnarlo a tutti coloro che non smettono di credere nella loro terra promessa, in quel paese che non raggiungeranno. Sì, non lo raggiungeranno, ma non smetteranno di desiderare».

LA GRANDEZZA non è aggettivale («grande diva», «grande poeta»), ma verbale. Nasce dall’azione di essere se stesse o, parafrasando Kierkegaard, dall’essersi scelte sotto la categoria dell’universale. Così si congeda Violetta: «Cessarono / gli spasmi del dolore. / In me rinasce… m’anima / insolito vigore!… / (trasalendo) / Ah! io ritorno a vivere!… / Oh gio…ia!..»; così Bachmann: «Io confino ancora con una parola e con un’altra terra, / confino, anche se per poco, sempre più con tutto, / un boemo, un vagabondo, che nulla ha, nulla tiene, / se non il dono, dal mare, che è controverso, di essere terra di mia scelta.»
Nel libro di Boella, musica e poesia sono lasciate dialogare con la stessa «andatura spirituale» e entrambe riflettono, in trasparenza, due donne che hanno scelto di far della propria voce «la lingua sonora dell’incontro». Gioia, pulsione a scrivere, o legame, l’incontro con una «voce umana» è il perno di ogni relazione, fino a quando il donante non diventerà l’ultimo donatario.

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