Bachmann e Callas, l’incontro sonoro di due esperienze incarnate
SCAFFALE Sull'ultimo libro di Laura Boella, «Con voce umana», edito da Ponte alle Grazie
SCAFFALE Sull'ultimo libro di Laura Boella, «Con voce umana», edito da Ponte alle Grazie
Si scrive perché la gioia. Come nell’inverno del 1956, a Milano, quando Ingeborg Bachmann assiste a una prova generale di «Traviata» e scopre Maria Callas; come, nuovamente, accade nel 2020, quando Laura Boella incontra Omaggio a Maria Callas, di Bachmann. E succede oggi a chi ha letto Laura Boella, Con voce umana. Arte e vita nei corpi di Maria Callas e Ingeborg Bachmann (edito da Ponte alle Grazie, pp. 128, euro 14), il libro che racconta di questa, e altre congiunture.
INCONTRI REALI, concreti, vissuti. L’esperienza del soggetto che attribuisce all’incontro un valore di «salto» – dalla semplice contingenza a scoperta esistenziale di sé – è legata all’empatia, da intendersi non come sentimento morale ma come apertura verso l’altro. In una lettera del 16 agosto 1962 (posta a epigrafe in Laura Boella, Le imperdonabili, Mimesis, 2013), Bachmann scrive a Arendt: «Non ho mai dubitato che ci dovesse essere qualcuno come Lei, ma ora Lei c’è realmente, e la mia gioia straordinaria per questo durerà sempre».
L’incontro dona «scosse», e gioia. Si comprende, così, come quell’improvvisa illuminazione avuta da Bachmann, e della quale ci racconta Boella, avvenuta nel tempio dell’ascolto, il teatro alla Scala, sia – ancor prima di un fatto di cronaca – un avvenimento simbolico capace di travalicare le protagoniste e trasformarsi in messaggio universale. Ricorda Bachmann: «e ascoltavo e guardavo apatica, fino all’attimo in cui un movimento, una voce, una presenza simultaneamente provocarono in me una scossa, quale solo un urto fisico, o un veemente intendimento, un atto mentale sono in grado all’improvviso di produrre. Su quel palcoscenico c’era una creatura, un essere umano».
Il poeta fa di quel crocevia il segno della lingua. È il manifestarsi drammatico, carnale, del mistero di una voce creaturale capace di vibrare dell’infinito nella finitudine del corpo, il rovesciarsi del cielo sulla terra. Un’epifania.
L’ESPRESSIONE «creaturale» – come ricostruisce Silvia De Laude nel suo saggio La rondine di Pasolini (edito da Mimesis nel 2018) – è un neologismo che appartiene a Auerbach, «un vero termine tecnico, riferito a un modo di rappresentare la realtà che “non arretra davanti ad effetti estremi”, e come è proprio dell’“antropologia cristiana” mette “in forte risalto ciò che nell’essere umano è soggetto a dolore e caducità”». Il canto di Maria Callas prorompe dalle emozioni di una creatura destinata al dolore, alla sconfitta, e che, senza ali, si scaglia generosamente verso l’alto oltre se stessa. A rendersi manifesto, nell’attimo dell’intuizione, è il mistero dell’arte come modulazione dell’umano, come espressione dell’esperienza della gioia disperante, cioè quell’abbandonarsi alla pulsione di un desiderio infinito rimanendo nei confini del corpo, una gioia che è tanto più intensa, quanto destinata a non trovare appagamento.
Inserendo il componimento La Boemia è sul mare, Boella innesta nel corpo di Maria Callas quella che Bachmann definì «l’ultima poesia», e un’altra voce dagli abissi del Reale sembra rispondere a Tosca: «Ecco, un poeta». Dice, infatti, Bachmann: «Per me [La Boemia è sul mare] rappresenta un dono e io devo soltanto consegnarlo a tutti coloro che non smettono di credere nella loro terra promessa, in quel paese che non raggiungeranno. Sì, non lo raggiungeranno, ma non smetteranno di desiderare».
LA GRANDEZZA non è aggettivale («grande diva», «grande poeta»), ma verbale. Nasce dall’azione di essere se stesse o, parafrasando Kierkegaard, dall’essersi scelte sotto la categoria dell’universale. Così si congeda Violetta: «Cessarono / gli spasmi del dolore. / In me rinasce… m’anima / insolito vigore!… / (trasalendo) / Ah! io ritorno a vivere!… / Oh gio…ia!..»; così Bachmann: «Io confino ancora con una parola e con un’altra terra, / confino, anche se per poco, sempre più con tutto, / un boemo, un vagabondo, che nulla ha, nulla tiene, / se non il dono, dal mare, che è controverso, di essere terra di mia scelta.»
Nel libro di Boella, musica e poesia sono lasciate dialogare con la stessa «andatura spirituale» e entrambe riflettono, in trasparenza, due donne che hanno scelto di far della propria voce «la lingua sonora dell’incontro». Gioia, pulsione a scrivere, o legame, l’incontro con una «voce umana» è il perno di ogni relazione, fino a quando il donante non diventerà l’ultimo donatario.
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