Reinhard Goebel
Reinhard Goebel
Visioni

Bach e quelle partiture crittografate…

Musica Tra le più alte creazioni dello spirito umano l’esecuzione della Messa in si minore di Bach è un evento immancabile, un’esperienza d’ascolto unica. Sul podio dell'Accademia di Santa Cecilia Reinhard Goebel, coadiuvato da un quartetto di solisti
Pubblicato circa un'ora faEdizione del 17 novembre 2024

Come Dante, Bach – e  dopo di lui Schumann – ama cospargere le proprie partiture di messaggi crittografati. Ovviamente, la tonalità ha un significato. Si è il grado della scala che, partendo da do, con un semitono, riconduce a do. Il centro del mondo armonico. Come Dio lo è dell’universo. La Messa è in si minore, perché è questa la via che conduce a Dio. Ma si conclude in re maggiore. Re, nella denominazione tedesca delle note musicali, che, come anche in ambito anglosassone, conserva i nomi alfabetici della tradizione antica e medievale, si chiama D, in latino l’iniziale di Deus, Dio.

IL NUMERO TRE, come osserva Paolo Gallarati nelle belle note del programma di sala, già suggerito dalla successione di Kyrie, Christe, Kyrie, con cui comincia la messa, pervade tutta la partitura, che è costituita da 27 numeri, un multiplo di tre, la Trinità. La musica, specchio dell’armonia celeste, canta le lodi di Dio, il suo creatore. L’Et incarnatus è in ritmo ternario, come poi il Crucifixus, perché si affronta il mistero della Trinità. Una struttura che ricorda quella della Commedia di Dante. Nella retorica medievale, di cui Bach eredita la concezione, la struttura di un’opera è il suo significato. L’estetica romantica getterà alle ortiche tutto ciò, ma non Schumann, che  continua a praticarla, sia pure in altra forma. Giudicando la struttura come un artificio inessenziale, l’estetica crociana tenterà di liquidarla. Per Bach, come per Dante, ma anche per moltissimi altri artisti, per esempio, del novecento – da Joyce a Boulez – la struttura è il nodo dell’opera.

Chi abbia studiato pianoforte avrà riconosciuto nel tema del Kyrie il tema dell’ultima fuga del primo Libro del Clavicembalo Ben Temperato, ma con ritmo diverso, da trocaico a giambico. La Messa in si minore è il testamento di Bach, più dell’Arte della Fuga, titolo tra l’altro non suo, bensì del figlio Carl Philipp Emanuel, che ne curò la pubblicazione postuma.

CORAGGIOSI l’Orchestra e il Coro  di Santa Cecilia ad affrontare un simile monumento musicale, il cui stile esce ormai dal loro repertorio abituale. La lezione di Harnoncourt, secondo il quale il problema non si risolve nell’uso degli strumenti originali, ma nel come si suona, e nel come si usa la voce, è praticata con successo. A concertare l’insieme è stato chiamato uno storico interprete di questo repertorio, Reinhard Goebel. L’interiorità, la moderazione, la coerenza stilistica con cui tutta la Messa in si minore è stata condotta sono ammirevoli. Voci solistiche erano il soprano Damiana Mizzi, il contralto Catriona Morison, il temore Benjamins Bruns e il basso Christian Immler, nessuno a dire il vero eccelso, ma tutti in sintonia con il tono intimo dell’interpretazione. Eccezionale l’intervento solistico del primo violino dell’Orchestra Andrea Obiso, e straordinari tutti gli altri interventi strumentali solistici. Si è usciti dalla sala con un appagamento emotivo e intellettuale d’intensità estrema, che si vorrebbe vivere più spesso.

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