Bacalov, sfumature di una nota
Incontri Intervista inedita al maestro argentino scomparso nel 2017. "Sono stato e sono uno spirito libero, considero il mondo accademico supponente, arrogante. Devo molto ai miei insegnanti e a Ennio Morricone"
Incontri Intervista inedita al maestro argentino scomparso nel 2017. "Sono stato e sono uno spirito libero, considero il mondo accademico supponente, arrogante. Devo molto ai miei insegnanti e a Ennio Morricone"
Luis Enrique Bacalov ha uno stretto legame con Matera dai tempi in cui decise di seguire Pasolini nella sua impresa del Vangelo secondo Matteo. Il 22 agosto 2014 si esibisce sulla Terrazza del Palazzo Lanfranchi della città dei sassi per dirigere l’Orchestra della Magna Grecia in un concerto celebrativo del film di Pasolini e della sua carriera di compositore per il cinema. Lo incontrammo in quella occasione in una lunga intervista inedita che realizzammo nell’Auditorium Nino Rota del Conservatorio Duni di Matera e di cui presentiamo un estratto.
Maestro lei ha iniziato ben presto a studiare pianoforte con un grande docente come Enrique Barenboim, che cosa ricorda?
Ho cominciato a studiare con Don Enrique Barenboim quando avevo 5 anni quindi non ho molti ricordi poi lui se ne andò in Israele con il figlio Daniel poiché erano ebrei. Ebbi diversi maestri non particolarmente brillanti e solo verso i 14 anni andai a studiare con una allieva di Schnabel anche lei di origine ebraiche. Anche io sono nato in una famiglia di ebrei molto schizofrenica con una nonna molto pia verso l’ebraismo tradizionale e conservatore mentre mio padre era figlio di un socialista mangia rabbini, laico al 120 percento, come mio nonno. Pertanto a casa mia c’era una certa tensione sul tema ebraismo. Mia nonna mi portava in sinagoga ma non avevo interesse, tant’è che oggi da un punto di vista filosofico sono agnostico e politicamente sono stato castrista, comunista, sono stato in Spagna con Franco; era molto divertente vivere in quegli anni, non c’era più un regime violento ma il Franchismo si sentiva. Dalla Spagna andai in Francia. Berta Sukolowskij, la professoressa allieva di Schnabel, mi raccontava che il suo maestro andò a Londra a causa delle leggi razziali e lei venne in Argentina. Quindi un percorso tortuoso quello del mio studio pianistico, con due figure molto importanti e altre secondarie. Penso però che lo studio con Barenboim sia stato determinante, la sua tecnica pianistica mi è rimasta fortissima, mentre con Sukolowkij facevamo musica, molto repertorio, Ravel e Debussy e non amava Schoenberg e la musica contemporanea. Tornando ai miei studi le dico che non ho fatto lezioni regolari di composizione, ho studiato a Parigi con un allievo di Leibowitz e dopo in Italia chiesi a Ennio Morricone di approfondire alcune questioni di composizione e mi fece lezioni di contrappunto. Era tremendo, era di una forte severità. Conosceva molto bene il contrappunto e si riteneva allievo della grande scuola romana. Dopo ho conosciuto un argentino, una persona molto complicata dal punto di vista psicologico, Edoardo Orando, con lui studiai musica elettronica. Ho studiato molto le partiture, ho ascoltato molto e Morricone mi disse che non avevo bisogno di fare lezioni d’armonia perché la conoscevo bene. Quando si entra nel sistema accademico della scrittura si può perdere la spontaneità. Sono stato e sono uno spirito libero con una visione del mondo accademico che considero supponente, arrogante ed eurocentrica, con una forte presenza nell’uso della lingua. Gli accademici si sentono talmente sopra una torre d’avorio che chi ci sta sopra è considerato un eletto. Non parliamo della musica latina che viene disprezzata dai compositori europei ed è poco conosciuta sia in Italia che in Germania. A Buenos Aires il Colon è a conduzione totalmente italiana e viene praticamente esclusa la produzione sudamericana, c’è tanto Puccini, Donizetti, Wagner, Verdi e anche Bizet. Buenos Aires è proprio una città italiana.
Come e quando arriva in Italia?
Sono arrivato e rimasto in Italia per un caso, alla fine degli anni Cinquanta; dovevo tornare a Parigi ma Claudio Villa mi offrì di essere il suo pianista per un anno e mezzo. Era molto divertente, pieno di sé, molto romano. Era un accanito ciclista e Bartali e Coppi erano i suoi miti. A Parigi avevo avuto già pratica di serate nelle balere, pertanto era preparato e con Villa era facile perché le sue erano canzoni molto semplici. A Parigi trovai Germaine Tailleferre che mi disse di andare da lei a studiare ma non me lo potevo permettere perché avevo già due figli, Daniel e Stella. Tailleferre era tremenda, aveva uno spirito distruttivo massacrava tutti. Io mi sono sottratto perché non avevo la possibilità economica di studiare con lei. Sono quindi arrivato a Roma perché a Parigi suonavo nei piccoli gruppi in tanti galà e conobbi Pedro Urbina, cantante che mi invitò a suonare con lui in estate fra Capri, Roma e altri luoghi balneari. Feci amicizia con un violinista che lavorava al Teatro dell’Opera e mi disse che Villa aveva bisogno di un pianista. Fui tentennante perché avevo già preso i biglietti per Parigi e quell’amico mi sollecitò ad andare per il mio futuro. Quindi decisi di andare e Villa mi provinò e mi chiedeva di trasporre canzoni come Granada. Fu contento e mi diede il lavoro, mi sorprese e non sapevo come fare per rinunciare visto che sarei dovuto partire. Il suo manager mi propose 30mila lire a serata nel 1959 per trenta serate. Rispetto a Parigi era una vera pacchia dove guadagnavo circa 6mila lire. Presi tempo perché dovevo parlare con mia moglie e quindi andai da lei in taxi, considerando che non me lo potevo permettere, arrivai a Piazza Bologna dove abitavamo. Mia moglie mi sostenne e mi disse di accettare assolutamente. Lei tornò a Parigi con i bambini.
Come arrivò alla Rca?
Il maestro Giancarlo Fusco, una persona divertente, piccolo, calvo, aveva scritto una canzone, mi chiese se facessi l’arrangiatore, io ne sapevo abbastanza ma non abbastanza per un’orchestra. Mi affidò comunque quel suo brano e mi disse che dovevo seguire il suono di un disco che mi dette da ascoltare con cori e archi. Il cantante per cui dovevo arrangiare era Nico Fidenco. La canzone fu un enorme successo e io guadagnai 30mila lire. Mi chiamò dopo poco Micocci, direttore artistico della Rca, e mi propose di fare arrangiamenti per i cantanti italiani. Ennio Morricone era già li. La Rca era l’etichetta discografica più importante in Italia, erano molto moderni mentre i milanesi perseguivano un vecchio stile. Noi avevamo inventato tante cose nuove. Ennio, che era un musicista geniale, se ne inventava di tutti colori, lui non era molto commerciale. Poi mi ha visto lavorare e si è adeguato alla mia semplificazione. La Rca vendeva i 78 e i 45 giri come i panini! Ho iniziato a lavorare con Fidenco e con tanti altri. Poi arrivarono Sergio Endrigo, Lucio Dalla, Rita Pavone, la quale mi volle come suo arrangiatore. Ho fatto gli arrangiamenti per Gian Burrasca. Mi chiamò Nino Rota e mi disse che non sapeva lavorare per la discografia e quindi mi chiese di fare questi arrangiamenti per le musiche che aveva scritto. Ci lavorai molto e l’idea del cimbalom che si sente spesso nelle canzoni dello sceneggiato fu di Teddy Reno, capii che aveva ragione e quindi lo adottai. Parlammo del pezzo più famoso, Viva la pappa col pomodoro, e lui mi diceva che gli ricordava la musica de Il terzo uomo, ed è lì che mi consigliò l’uso del cimbalom che trovai interessante come suono. Poi Reno andò in Austria a scritturare il famoso esecutore che aveva caratterizzato le musiche di quel film, Anton Karas. Feci tutti gli arrangiamenti per questo lavoro ed ebbe un successo stratosferico. Anche con Endrigo ebbi sempre molto successo; per lui scrissi più di trenta canzoni alcune da solo e altre le facevamo insieme; lui veniva, mi accennava un motivo e mi chiedeva di completarlo. Era certamente uno che sapeva creare delle belle melodie e questo conferma che non era vero che era solo il mio lavoro, sarebbe ingiusto. Abbiamo stretto una vera amicizia, abitavamo vicini e ci vedevamo tutte le sere. Giocavamo a briscola e a noi si univamo Bardotti e Morricone poiché insieme avevamo comperato un terreno sul quale edificarono le nostre case sull’Aventino.
LA BIOGRAFIA
Luis Enrique Bacalov nasce a San Martin, in Argentina, il 30 agosto 1933 e muore a Roma il 15 novembre 2017. È stato prolifico nel campo degli arrangiamenti per la Rca e per le musiche applicate al cinema. È stato un pianista di grande classe nonché autore di musica contemporanea. Ha lavorato con importanti registi come Pasolini, Fellini, Rosi, Damiani, Wertmuller e negli ultimi anni non poche furono le collaborazioni americane, componendo musiche rimaste celebri, come quelle per Il postino, il film diretto da Radford con Massimo Troisi, che gli valsero l’Oscar come miglior colonna sonora. Notevole il suo apporto anche alla musica progressive collaborando con i New Trolls e con gli Osanna. Scrisse anche opere dedicate al tango come la Misa Tango incisa per la DG. Importante il suo sodalizio con Sergio Endrigo e Nico Fidenco, e di grande rilievo i suoi concerti con l’Orchestra di Santa Cecilia.
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