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«Babylon», lettera d’amore alla selvaggia Hollywood

«Babylon», lettera d’amore alla selvaggia HollywoodUna scena di «Babylon», al centro Margot Robbie

Cinema Nelle sale italiane dal 19 gennaio, il nuovo film di Damien Chazelle racconta gli sfrenati studios degli anni '20. Un grande ritorno per il regista di «La La Land», con Margot Robbie e Brad Pitt

Pubblicato più di un anno faEdizione del 6 gennaio 2023
Brad Pitt e Diego Calva in una scena del film

Il cartello sullo schermo dice Bel Air. Ma il paesaggio che si apre davanti ai nostri occhi – un deserto collinoso, brullo e desolato, su cui si inerpica faticosamente una stradina sterrata – non ha nulla a che vedere con i giardini lussureggianti e le case baroccamente sontuose che oggi ricoprono fitti fitti le ripide pendenze di uno dei quartieri residenziali più esclusivi di Los Angeles. L’anno è il 1926: Damien Chazelle comincia il suo Babylon sulla Frontiera di Hollywood. Invece della diligenza trainata da cavalli, un’auto scassata traina un camioncino ancor più scassato di lei, su cui è (a malapena) contenuto un elefante.

INVECE del classico rumoroso e licenzioso saloon della main street di un western, la loro destinazione è una villa isolata al cui interno principesco si consumano (come nel saloon) alcol, droga, musica e donne a volontà. Pare che «Garbo» sia sulla lista degli ospiti. Al piano di sopra, una grassissima star fa sesso e coca con una ragazzina che, dopo un tiro di troppo, finisce priva di sensi con la bava alla bocca – chiaro ammicco alla storia di Fatty Arbuckle e Virginia Rappe, il primo celebrity scandal della storia hollywoodiana.

È una macchina vorace che ti mastica e poi ti sputa fuori, non importa se sei al top o in fondo. Funziona come un livellatoreDamien Chazelle
Se il titolo del film evoca il controverso volume di Kenneth Anger Hollywood Babylon, il mood della Babilonia di Chazelle – alla cui fonte stanno libri come The Parade Has Gone By.. di Kevin Bronlow, memoirs del muto tra cui quelli di Clara Bow e della scrittrice Freddie Mass e riviste dell’epoca come Photoplay – non ha il tocco scandalvoyeurtistico di Anger. È animato da uno sguardo romantico. A tratti quasi elegiaco.

I PERSONAGGI centrali emergono qua è là nel caos spettacolare di un’orgia di venti minuti e passa, in cui, a un certo punto, fa il suo ingresso trionfale anche l’elefante. Chazelle ce li presenta estraendoli abilmente, con eleganza, dall’affresco di perdizione generale. Sono Jack Conrad (Brad Pitt), il più pagato, soavemente ubriaco e ricercato attore hollywoodiano del momento; Nellie La Roy (Margot Robbie), selvaggia e poverissima, arriva dal New Jersey, si definisce «una star nata» anche se nessuno sa chi è; Manny Torres (Diego Calava) un factotum messicano che sogna di arrivare su un set, e Sidney Palmer (Jovan Adepo), geniale trombettiere afroamericano.

 

Quando, finiti i clamori della notte brava, li vediamo tornare «a casa», riconosciamo in loro i sogni, le aspirazioni e il portafoglio vuoto dei giovani artisti di La La Land; le vocazioni indomabili dei protagonisti di Whiplash e di First Man. Autore di una visione coraggiosa, con grandi ambizioni che affronta senza pretensiosità, Chazelle approfondisce i temi della sua opera nel film più enorme della sua carriera. Che ogni tanto gli sfugge e diventa «troppo», ma che ha momenti bellissimi ed è una sincera lettera d’amore al cinema. Se l’eccesso dell’orgia sembra in dissonanza con un regista schivo come l’astronauta Ryan Gosling, Babylon trova il suo inizio trionfale, quando i nostri eroi «confluiscono» sul set – territorio di Frontiera anche quello, brullo e senza edifici, dove lo studio immaginario Kinoscope raggruppa tutte le sue frenetiche produzioni. In un angolo la cinepresa riprende un gruppo di indigeni sullo sfondo di una giungla creata in pochi metri quadrati; qualche passo più in là Nellie, scritturata sul campo dopo l’overdose dell’attrice originale, avrà il suo folgorante debutto, di fronte a una regista che ricorda Lois Weber e Dorothy Arzner. Mentre Sidney si sfiata alla tromba vicino a un altro backdrop, il kolossal in costume del giorno – starring Jack Conrad e diretto da un regista dal pesante accento tedesco (Spike Jonze) – va in crisi quanto l’esercito crociato (centinaia di poveracci reclutati dagli angoli di strada dei peggiori quartieri della città) entra in sciopero. Domato quel problema (grazie a Manny, a cavallo e armato di pistola) ne scoppia un altro quando l’ultima cinepresa funzionante viene distrutta nella sequenza della battaglia. A Manny il compito di trovarne un’altra prima di perdere la magica luce del tramonto sul cui sfondo va girato il bacio finale.

NONOSTANTE Jack sia ubriaco da non stare in piedi e il sole sia praticamente scomparso dietro alle colline, si tratta di un bacio così perfetto che una farfalla di passaggio va ad appoggiarsi sulla spalla della star. Perfetta anche la lacrima di Nellie (capace di piangere a comando perché «basta che pensi a casa»), quel giorno diventa la star che ha sempre saputo di essere. La colonna sonora jazzatissima (è il sound dei ruggenti anni Venti) di Justin Hurwitz tiene tutto insieme, con qualche intermezzo wagneriano qua e là. Come l’hardcore in Boogie Nights, di cui questo film condivide l’ambizione epica, l’arrivo del sonoro (insieme, di lì a poco, al codice Hays) metterà fine per sempre alla selvaggia, magica e spietata purezza di quel momento e cambierà la traiettoria dei personaggi. Chazelle chiude le tre ore di Babylon con un montage finale che arriva fino al cinema contemporaneo, e che è allo stesso tempo molto ingenuo e molto struggente.

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