«Babis non è un ideologo della destra, ha trovato il campo libero»
Intervista al politologo ceco Miroslav Novák «Ha messo al centro la lotta alla corruzione e al vecchio sistema politico e questo, malgrado lui stesso abbia diversi guai con la giustizia, è stato sufficiente»
Intervista al politologo ceco Miroslav Novák «Ha messo al centro la lotta alla corruzione e al vecchio sistema politico e questo, malgrado lui stesso abbia diversi guai con la giustizia, è stato sufficiente»
Già rettore della Scuola superiore di studi politici e docente all’Università di Praga, Miroslav Novák è uno dei più noti politologi cechi. Gli abbiamo chiesto un parere sulle elezioni.
Professore, come spiega l’affermazione di Andrej Babis e del suo partito, l’Azione dei cittadini scontenti, che ha raccolto un terzo dei consensi?
Prima di tutto alla luce del forte discredito che ha colpito i partiti tradizionali, a cominciare dai socialdemocratici, intorno ai quali si reggeva il governo uscente, e che hanno perso oltre due/terzi dei voti, fino ai conservatori. Babis ha messo al centro della sua proposta la lotta alla corruzione e al vecchio sistema politico e questo, malgrado lui stesso abbia diversi guai con la giustizia, è stato sufficiente per farlo vincere. Si deve inoltre aggiungere che si tratta di uno degli uomini più ricchi del paese, e anche questo è un elemento che ne ha rafforzato l’immagine di determinazione e forza. Del resto, proprio in Italia si dovrebbe capire un simile profilo e quale consenso può raccogliere in un contesto di crisi del sistema politico. Babis ha fatto un po’ quello che fece Berlusconi all’inizio degli anni Novanta quando lanciò un partito-azienda e si candidò ad occupare il terreno lasciato libero dalle forze politiche della Prima Repubblica. Babis non è però un ideologo di destra, è un pragmatico che ha saputo approfittare della situazione.
È però anche un prodotto specifico della realtà Ceca. Prima di trasformarsi da miliardario e magnate dei media in leader euroscettico di destra, non ha forse cominciato ad accumulare la sua ricchezza da funzionario del vecchio regime?
In effetti è stato tra coloro che hanno approfittato del modo poco trasparente con cui si è compiuta la transizione politico-economica del paese dopo l’89. Negli anni Novanta chi come lui era stato funzionario del partito comunista e si era trovato nel posto giusto al momento giusto, ha potuto accumulare anche ingenti fortune. Inoltre è stato anche indagato per essere stato un agente della polizia segreta. È così che ha iniziato, prima di buttarsi nell’industria angroalimentare – settore in cui è entrato in conflitto con i polacchi, il che mi fa pensare che la sua vittoria potrebbe non piacere a tutti nel Gruppo di Visegrád – e in seguito nell’editoria.
Siamo di fronte a un apparente paradosso. I dati sociali del paese sono buoni, ma vincono le forze anti-sistema di destra. Che cosa non capiamo?
È vero, la situazione della Repubblica Ceca è migliore di quella di molti altri paesi vicini. Addirittura il tasso di disoccupazione è inferiore a quello della Germania. Ciononostante si registra una certa insoddisfazione, ad esempio sul terreno dei salari che sono molto bassi; un elemento che la società ceca ha ereditato dal regime del passato. Allo stesso modo è cresciuto lo scetticismo verso l’Unione Europea e l’idea che partecipando a quel consesso il paese potesse crescere e i suoi cittadini migliorare le loro condizioni di vita.
È poco chiaro anche il peso che nel voto hanno avuto la xenofobia e l’«allarme Islam», in un paese che conta meno di 4.000 musulmani…
Si è parlato molto di questi temi, anche se in realtà credo abbiano pesato relativamente poco nelle scelte degli elettori. In realtà sia Babis che Tomio Okamura – che è per altro di origine ceco-giapponese -, il leader dell’estrema destra xenofoba e anti-Ue del movimento Libertà e democrazia che ha sfiorato l’11%, hanno soprattutto strumentalizzato le scelte di Bruxelles sulle quote di migranti da distribuire in ogni paese per dire agli elettori che la Ue voleva decidere al posto dei cechi. E su questo hanno costruito una parte dei loro consensi.
Nelle sue ricerche se ne è occupato spesso, ma ritiene che la nozione di post-comunismo sia ancora utile per comprendere quanto accade nel suo paese come nel resto dell’Europa centro-orientale?
Non è facile rispondere, nel senso che ci sono fenomeni comuni all’est come all’ovest ed altri che rappresentano invece un’eredità di lungo corso che i regimi del passato hanno lasciato in paesi come il mio. Ad esempio nelle società est-europee l’apertura verso gli «stranieri» appare ancora più difficile che all’ovest. Se però paragono, pur nella diversità, Babis e Trump, concludo che alcune derive sono ormai generalizzate.
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