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Azzerato il Pd romano, Orfini commissario

Azzerato il Pd romano, Orfini commissarioMatteo Orfini e Matteo Renzi, presidente e segretario del Pd – foto sintesi visiva

Democrack Veleni, accuse, indagati. Renzi: sono sconvolto. Il segreterio Cosentino lascia. Dem delle capitale nel caos. Il presidente: ci vuole una rifondazione dalle basi

Pubblicato quasi 10 anni fa

Come una bomba. L’inchiesta «Mondo di mezzo» manda in pezzi il Pd romano, che già di suo è un arcipelago di correnti e subcorrenti in costante guerriglia fra loro. Tutti ne escono male, lanciano accuse, spargono veleni nuovi e vecchi.  Quello che è successo ieri può anche essere solo l’inizio. Mancano all’appello, è il timore che circola, ancora molti nomi coinvolti nell’indagine: 30 forse addirittura 60, è stato lo stesso procuratore Pignatone a farlo capire nella sua conferenza stampa. Per questo è presto per sapere come si poserà la polvere. Per ora il Pd romano, fin qui armato contro il sindaco Marino e in attesa di un rimpasto di giunta ancora più necessario dopo le dimissioni dell’assessore Ozzimo, indagato, e quelle del presidente del consiglio comunale Mirko Coratti (in regione lascia il consigliere Eugenio Patané, questi ultimi lasciano gli incarichi e non le poltrone) ora si aggrappa al sindaco «marziano» sperando che si inventi per tutti una via di uscita per la vicenda che tocca il Pd, dirigenti funzionari, travolgendolo.

«L’amministrazione Marino è il segno del cambiamento, della trasparenza. È per questo che ho voluto dichiarare che sul rimpasto di giunta il Pd non ha nomi da proporre. Decide il sindaco », ha scritto ieri il segretario Lionello Cosentino. Fin qui lui è stato un punto di equilibrio del Pd della Capitale. Salta fuori anche il suo nome nelle 1200 pagine dell’inchiesta, insieme a quello di Tommaso Giuntella, uno dei suoi sfidanti alle primarie 2013. In piena campagna dei gazebo Massimo Carminati, per gli inquirenti capo dell’organizzazione mafiosa, parla con Salvatore Buzzi, suo braccio destro, che gli dice: «Stiamo a sostene’ tutti e due, avemo dato 140 voti a Giuntella e 80 a Cosentino che è proprio amico nostro». Verità o millanteria? «Lo diranno le indagini. Ma su 14mila votanti alle primarie, 220 in ogni caso non rappresenterebbero nulla», è la replica del Pd. Ieri il segretario Lionello Cosentino ha incontrato il vice di Renzi Lorenzo Guerini. C’è del freddo fra Roma e il nazionale dopo le parole della ministra Boschi («Nel pd romano evidentemente c’è un problema»). Cosentino aveva invitato la ministra all’attivo straordinario di sabato. Il titolo «il Pd contro la mafia e la corruzione» sembra uno slogan disperato ma forse l’annuncio di un repulisti: «Il vero Pd è quello che cinque giorni fa ha invitato proprio il procuratore Pignatone alla sua conferenza programmatica e gli ha tributato un lunghissimo applauso», assicura il coordinatore della segreteria Enzo Foschi.

Ma Cosentino lascia. Lo annuncia lo stesso Matteo Renzi a Bersaglio Mobile, su La7. «Sono sconvolto. L’epicentro di tutto è l’epoca di Alemanno ma è chiaro che alcuni dirigenti del Pd non possono tirarsi fuori. E’ per questo che ho accettato la disponibilità di Cosentino di fare un passo indietro. Matteo Orfini sarà commissario».

Orfini non se l’aspettava ma di commissariamento aveva già parlato nel pomeriggio: «Spero che gli esponenti del Pd coinvolti dimostrino la loro innocenza, ma emerge l’immagine di un partito a Roma che va rifondato e ricostruito su basi nuove». Non si tratta di una questione locale: «Con la selezione della classe dirigente dall’esterno, con le primarie o le preferenze, è molto complicato il controllo dalle infiltrazioni. Questo significa anche che bisogna stare attenti a invocare le preferenze nella riforma elettorale come il sol dell’avvenire ». Il riferimento è alla minoranza che chiede le preferenze nell’Italicum: battaglia che l’inchiesta ha seppellito. Roberto Morassut, assessore  nell’era Veltroni,  non è d’accordo: «Se non si interviene sulla base associativa guasta, si può mandare un commissario o un generale, alla fine tutto resta com’è». Morassut da tempo denuncia «un partito diviso in organizzazioni tribali, gruppi di potere che si confrontano sui numeri» e oggi prende amaramente atto di essere stato facile profeta. «Il Pd non può dire solo ‘le inchieste vadano avanti’. Noi, dal canto nostro, dobbiamo azzerare il tesseramento fatto spesso di numeri finti. E finirla con i turchi, i greci e i ciprioti. Bisogna fare politica. Vale anche per  Marino: una persona per bene, ma la trasparenza non basta, ci vogliono politiche solide per la città. Ed è l’unica maniera per dare uno sbocco costruttivo a questa vicenda».

Ma più che verso una rifondazione il Pd romano e laziale sembra avviarsi verso l’autodistruzione. «Mondo di mezzo» ha oscurato un’altra brutta storia, quella dell’ex assessore regionale e oggi deputato Di Stefano indagato per corruzione. Negli scorsi giorni si è chiusa anche l’inchiesta di Rieti sulle spese pazze del consiglio regionale dell’era Polverini: anche lì ci sono i consiglieri del Pd. «Noi non siamo il Psi di Craxi e neanche la Dc, ma certo questo è il nostro ‘92», sentenzia un alto dirigente romano. Ed è qualcosa di più di un cattivo presagio.

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