Aznavour, i mille volti dell’artista
Icone La morte a 94 anni dello chansonnier francese. I suoi ruoli al cinema offuscati però dal successo come cantautore
Icone La morte a 94 anni dello chansonnier francese. I suoi ruoli al cinema offuscati però dal successo come cantautore
Quale immagine Aznavour lascia nella Francia di oggi? Il cantautore di oltre mille canzoni? L’interprete di sessanta film per il cinema? L’ospite televisivo difensore dell’evasione fiscale ? Oppure il testimone infaticabile della memoria d’un genocidio, quello degli armeni, per lungo tempo ignorato e infine entrato nei libri di storia e nel sapere comune? Per rispondere bisognerebbe sapere che cos’è la Francia. Vasto programma. Restringiamo la finestra ad un’esperienza possibile. Se un professore, diciamo di filosofia, entrasse in un liceo di provincia e chiedesse ai propri studenti di «terminale L» (l’equivalente, mutatis mutandis, dell’ultimo anno di un nostro liceo classico) chi era Charles Aznavour, che cosa scoprirebbe? Per prima cosa, vedrebbe la propria classe, in altri casi riluttante, animarsi di botto e molte braccia levarsi.
Aznavour è ancora popolarissimo, perfino tra gli adolescenti. Ma quale Aznavour ? Soprattutto il cantautore. Conoscete il titolo di alcune canzoni? Certo, sarebbe la risposta degli alunni: La Bohème, o ancora Emmenez-moi e Hier encore… Il professore ne sarebbe stupito, perché i suoi studenti, che non mancano di intelligenza e prontezza di spirito, sono di solito poco inclini alla precisione quando si tratta di citare il titolo di un libro o di un film. E l’attore? Qualcuno ha visto i suoi film? Qui la memoria si farebbe imprecisa.
Qualcuno evoca Giù al Nord. Ma Aznavour non fa parte di quel cast. Un altro si ricorda che, nel secondo episodio del Tempo delle mele (La Boum 2), uno dei personaggi dice: «Penelope, Penelope, ma qual è il titolo di quella canzone di Aznavour?» Per avere l’Aznavour attore, inviamo il nostro professore nella «salle des profs». Tra i colleghi, quasi tutti si ricordano del timido pianista di Tirate sul pianista (1960). Ma è tutto o quasi. Quel ruolo sembra averne offuscati tanti altri. E il film di Truffaut non fu l’inizio di un sodalizio per Aznavour che gira soprattutto al lato della Nouvelle Vague, con Mocky (Dragatori di donne, 1959), o controcorrente, con il nemico Duvivier (Le tentazioni quotidiane, 1962), più tardi con il disprezzatissimo Lelouche (Edith et Marcel, 1982 e Viva la vie, 1983). Aznavour attore non manca di talento. Ma principale nemico della sua carriera è il cantautore, la cui luce fa ombra al primo. Non pochi ricordano Aznavour l’evasore, esiliato fiscale in Svizzera e Lussemburgo – ma, è noto, i professori con il loro magro salario, e l’impossibilità di sfuggire al fisco, sono cattivi e invidiosi. Convinto assertore della favola dell’immigrato che con il talento e il lavoro costruisce la propria fortuna tutto da sé, considerava l’imposta repubblicana un furto. Questo peccato, assai comune nella canzone e nel cinema, non lo ha reso meno popolare.
Ma che cosa vuol dire popolare? Aznavour ha contribuito a inventare un’immagine della Francia e ad esportarla all’estero, in particolare in America. Un professore di origine venezuelana (la sala professori è multiculturale), si ricorda di averlo visto ad un concerto, da bambino. È tipico della Francia gollista essere incarnata culturalmente da figli di immigrati armeni, portoghesi o italiani… Cosa c’è di più francese del comico Michel Colucci detto Coluche, figlio di un immigrato di Frosinone? O del teatro di Fabrice Luchini, figlio del fruttarolo Adelmo? Così era per l’armeno Charles Aznavour. Nonostante gli schiamazzi dell’estrema destra, che ama i cadaveri più dei morti, è ancora così: la cultura viva è fatta per lo più da immigrati, hier encore.
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