Varanasi, o Benares, la città santa dell’induismo. Le rive ovest del Gange, dove il sole si specchia nelle acque sacre sono la meta ultima desiderata da ogni induista, essere cremati lì è di buon auspicio per la vita futura, aiuta a liberarsi delle schiavità di quella passata, a Benares sorge il più grande crematorio dell’India, il Mamikanika Ghat, dove ogni anno vengono bruciati circa settantamila corpi.

 
Nella vita quotidiana però la sacralità sembra disperdersi in corruzione, violenza, soprusi esercitati nel nome della tradizione coi quali si umiliano e massacrano i cittadini, specie i più deboli, i poveri, della cui sorte interessa a tutti molto poco. Poliziotti che ricattano le persone, chiedono soldi, minacciano, abusano della loro divisa peggio della polizia di Los Angeles in un romanzo di Ellroy. Ricchi e miseri ancora divisi rigidamente dalle caste, l’amore è vietato, il sesso è punito, uno scandalo che offende la morale. Eppure è anche l’India contemporanea, dell’informatica e della rete, dove formalmente pure chi appartiene alla casta degli impuri, quelli che danno fuoco ai corpi nel ghat può studiare ingegneria informatica. Ma non potrà mai amare una ragazza di una casta superiore, e forse nemmeno lavorare. Quando al giovane Deepak la condizione di fuori casta impedisce di stare insieme alla dolcissima ragazza di cui si è innamorato tutto il resto, gli studi, la scommessa di trovare un lavoro che non sia coi cadaveri come da sempre fa la sua famiglia crolla.

 
Devi invece ama un ragazzo, si incontrano in un hotel ma la polizia irrompe. Il ragazzo ha paura del padre e si ammazza, la ragazza viene punita,il capo della polizia ricatta il padre, un vecchio professore di sanscrito che ora vende riti sacri in un ghat, chiedendogli una enorme e impossibile quantità di soldi. Se non paga sarà uno scandalo, il video della ragazza a letto finirà in rete subito- perché non utilizzare almeno in questo la modernità?

 
Masaan – Tra la terra e il cielo, presentato l’anno scorso al festival di Cannes nella sezione Un Certain regard, arriva ora nelle nostre sale. Ed è uno di quei film da vedere. Intanto perché è diverso dal cinema indiano che esce nei nostri circuiti, non è un musical e non è un film di Bollywood, il regista, l’esordiente Neeraj Ghaywan, guarda piuttosto all’esperienza dei grandi cineasti indiani, come Satyajit Ray per comporre le sue storie nelle quali riflette i conflitti antichi e eterni del continente indiano.
Classismo, appunto, e discriminazione. Sessismo con le donne escluse, non solo dai riti religiosi ma soprattutto condannate nella vita quotidiana a subire, come Devi, continue ingerenze del maschio. Minacciate, aggredite sessualmente, messe al bando se solo si prendono il diritto (quello sì sacro) di vivere, amare, fare sesso coi loro uomini.

02VISSINapeeturaMasaan_VickyKaushal_ShwetaTripathi (1)

Ghaywan costruisce un meccanismo narrativo semplice ma di grande forza, che utilizza una regia precisa, sempre accanto ai suoi bravi attori, senza retorica né sentimentalismi, e in questa infelicità diffusa mescola molti generi, dal melò al tragico al documentario specie nel modo di condurci negli spazi in cui si muovono i personaggi, in strada, tra i gesti di ogni giorno.

 
Prima di girare Masaan, Neeraj Ghaywan (che è stato assistente di Anurag Kashyap in Gangs of Wasseypur)aveva in mente un film su un ragazzo che lavorava in un ghat, uno dei crematori della città. Poi le storie si sono moltiplicate anche se l’idea di fondo rimane. È infatti soprattutto il racconto di una generazione che fa il regista, quei giovani, probabilmente della sua stessa età, che si trovano schiacciati tra un presente dalla superfice aperta e una realtà che rimane invece organizzata secondo le regole immutabili.

 
Facebook e la divisione di casta: è possibile ancora mediare, sentirsi esclusi, rinunciare sempre? La dicotomia tra presente e passato è dolorosa, la rivolta sembra impossibile. Ma la ribellione è qualcosa che non si sottomette, che vola altrove e forse lascia un segno. Come una carezza, come una poesia.