Lavoro

Avere più di 50 anni e scoprirsi proletari

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Censis Dopo sei anni di crisi i disoccupati maturi sono aumentati del 146%. Nel 2008 erano 261 mila, oggi 438 mila. Sono un milione quelli spinti a cercare un impiego per mancanza di reddito

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 19 giugno 2014

Esuberi, prepensionati, esodati, staffettati, cassintegrati, disoccupati. Sono i lavoratori ultracinquantenni che hanno perso una posizione da lavoratore dipendente e si trovano nella zona grigia dove il precariato si confonde con la disoccupazione.

Per il Censis, oggi sono 438 mila i lavoratori dipendenti che vivono sospesi. Nel 2008 erano 261 mila. In sei anni solo i disoccupati in questa fascia di età sono aumentati in termini assoluti di 261 mila persone e in termini percentuali del 146%. L’ultimo anno è stato un ecatombe. L’area dei senza lavoro si è estesa a macchia d’olio coinvolgendo 64 mila persone: +17,2% tra il 2012 e il 2013. La recessione ha spazzato via le ultime, residuali, tutele di questo lavoro dipendente e ha allungato a dismisura la durata della disoccupazione. Dal 2008 al 2014 gli over 50 disoccupati di lunga data sono infatti quasi triplicati, passando da 93 mila a 269 persone (+189%).

Nello stesso periodo c’è stato un aumento del 7,6% dei lavoratori autonomi e tende a raddoppiarsi la componente degli occupati a tempo parziale, che nel 2013 diventano circa un milione, con un incremento nei sei anni pari al 47,5%.

Al lungo elenco del disagio occupazionale si è aggiunto un elemento ancora più inquietante. L’insicurezza economica, e la solitudine sociale, insieme all’erosione dei redditi indotta da un lavoro sempre più intermittente o variamente precario, ha stritolato i consumi, bruciato i risparmi e ha indotto un’altra categoria di over 50 a cercare lavoro.
Sono quelli che l’Istat ha definito gli «inattivi» che tuttavia si dichiarano disponibili a lavorare. Considerando tutti questi casi, oggi in Italia la pressione esercitata sul mercato del lavoro da parte degli ultracinquantenni supera un milione di persone. Questa cifra dev’essere comparata al numero complessivo degli over 50 in Italia: 24,5 milioni. Tra loro gli occupati sono poco più di un quarto, all’incirca 6,7 milioni: poco più di 4 milioni gli uomini, 2,6 le donne. Poi c’è il milione indicato dal Censis, quella popolazione che sta sperimentando tutte le gradazioni del grigio (e del nero) sul mercato del lavoro.

Una simile condizione è stata constatata a livello europeo dalla Commissione Europea in un rapporto presentato dal commissario al lavoro Lázló Andor nel marzo scorso.La disoccupazione in Europa da eccezione si sta trasformando in regola e coinvolge tanto gli over 50 quanto i più giovani tra i 15 e i 34 anni. Per chi ha perso il lavoro in Italia nel primo ciclo della crisi, le possibilità di trovarne un altro sono tra il 14% e il 15%, la quota più bassa di tutti i 28 Stati membri.

Ovunque la disoccupazione di lunga durata viene accompagnata alla generalizzazione della precarietà e del lavoro nero, con il rischio più che reale di perdere le competenze e le esperienze accumulate in una vita di lavoro più o meno lunga. In Italia sono sempre meno gli over 50 che partecipano ad attività formative, solo il 5% del campione analizzato dal Censis. Questo accade anche per l’assenza di politiche in questo senso, o per il fallimento della riqualificazione professionale.
Richiamando i dati resi noti dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), anche il Censis rileva che la lievissima crescita occupazionale registrata negli ultimi sei anni ha beneficiato i lavoratori più anziani, in particolare coloro che hanno tra i 55 e i 64 anni. Per il Censis questa sarebbe la prova di un conflitto latente tra giovani e anziani. Entrambi poco – o affatto – tutelati si contenderebbero gli stessi posti di lavoro. I fattori che hanno portato a questa situazione sono tuttavia molteplici e non riducibili ad uno scontro generazionale.

Quest’ultimo può essere stato l’effetto dell’aumento dell’età pensionabile imposto dalla riforma Fornero (voluta da Pd e Pdl nell’era Monti), o del blocco del turn-over nella pubblica amministrazione, ma non spiega la precarietà che colpisce in egual misura giovani e anziani, autonomi o dipendenti. In questa condizione il rapporto di lavoro dipendente, tutelato e regolamentato riguarda sempre meno persone, come ha confermato a fine 2013 il rapporto sulla coesione sociale dell’Inps, Istat e ministero del Lavoro. I lavoratori dipendenti sotto i 30 anni sono diminuiti dal 18,9% al 15,9%. Nell’ultimo quadriennio dell’anno scorso, i «giovani» a tempo indeterminato sono passati dal 16,8% al 14%. Nel primo semestre 2013 il 67% dei rapporti di lavoro era a tempo determinato.

Gli over 50 che oggi formano un nuovo proletariato beneficiano degli ultimi scampoli di protezione sociale che i loro figli probabilmente non conosceranno. Tra il 2010 e il primo semestre del 2013 tra i beneficiari delle politiche attive del lavoro e della cassa integrazione, escludendo dal totale gli apprendisti, sono aumentati tra gli over 50, passati dal 12,4% al 15,5%: circa 100 mila persone.

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