All’origine della fortuna politica nazionale di un gruppo di giovani democristiani di una provincia piccola come quella di Avellino c’è l’elezione all’Assemblea costituente di un giovanissimo professore di storia e filosofia di liceo, Fiorentino Sullo, dirigente della Fuci e segretario provinciale, dichiaratamente a favore della Repubblica in una provincia e in un partito – la Dc – fondamentalmente monarchici. Sullo aveva appena 25 anni nel 1946, tanto che gli affidarono l’incarico di segretario della prima seduta della costituente, si era formato in un ambiente culturale periferico ma pregiato, quello del convitto nazionale Pietro Colletta di Avellino, lo stesso frequentato in quegli anni da Antonio La Penna, illustre latinista. Ad Avellino, Sullo incrociò l’attività politica del conterraneo Guido D’Orso, grande figura di antifascista, meridionalista e azionista che però non riuscì a entrare nella costituente, mentre il democristiano raccolse, nel collegio di Avellino-Salerno, più preferenze di Giorgio Amendola, candidato per il Pci.

Più volte ministro, parlamentare per quarant’anni, Fiorentino Sullo riuscì a spostare nel Mezzogiorno la guida della corrente dei “basisti”, la sinistra democristiana, che all’origine era creatura essenzialmente lombarda nata sulle sponde del lago Maggiore per iniziativa dei partigiani cattolici Marcora e Marchetti. Dalla fine degli anni Cinquanta, la sinistra democristiana mette la sua testa nel profondo sud e Ciriaco De Mita in poco tempo ne diventa il punto di riferimento. La formazione universitaria del politico di Nusco è in realtà milanese, a Milano De Mita comincia a lavorare, dopo la laurea alla Cattolica, nell’ufficio legale dell’Eni, Enrico Mattei essendo stato il primo finanziatore dei “basisti”. Il legame tra De Mita e Sullo passa anche attraverso la signora Anna Maria Scarinzi, prima segretaria di Fiorentino e poi moglie di Ciriaco.
Al congresso della Dc di Trento del 1956, il deputato Sullo e il più giovane (di sette anni) avvocato di Nusco si muovono insieme. De Mita, alla sua prima uscita pubblica importante nel partito, attacca l’attendismo di Fanfani e insieme a Sullo sostiene l’urgenza di guardare con più convinzione a socialisti e socialdemocratici per sganciarli dal Pci. A livello locale, i due conducono assieme la battaglia contro l’altro potente democristiano avellinese, Salvatore Scoca, ministro, deputato e avvocato generale dello Stato, e la vincono. Ma molto presto l’”allievo” si sgancia e prende per sé la guida della “sinistra di base”.

All’epoca queste battaglie politiche si conducevano (non solo ma anche) sulle riviste, persino in provincia. Il quartier generale dei giovani che cominciano ad accusare Sullo di «paternalismo» si chiama Cronache irpine, nome scelto per richiamare l’esempio di Cronache sociali, il giornale di Dossetti, Fanfani e La Pira. Attorno al settimanale si riuniscono De Mita, Nicola Mancino, Gerardo Bianco, Giuseppe Gargani, Salverino De Vito, tutti destinati a un’importante carriera politica. Alla macchina del giornale ci sono i giornalisti Antonio Aurigemma, Gianni Raviele e soprattutto Biagio Agnes, all’epoca corrispondente da Avellino della Rai e nel giro di vent’anni direttore generale della tv pubblica su indicazione ovviamente di De Mita. La rivista «voleva dare la spiegazione dei collegamenti tra i problemi sociali e i problemi più generali, liberando la politica locale dal provincialismo e mirando a indicare gli strumenti per risolvere i problemi stessi», racconterà anni dopo De Mita in perfetto demitese (citato da Pierluigi Totaro, La Dc irpina negli anni Cinquanta). Più concretamente contribuirono a erodere il potere di Sullo che, sconfitto nel congresso provinciale della Dc, si dimise da ministro del governo Rumor (usava così). È storia che la lotta politica contro Sullo era cominciata con le accuse di omosessualità, una campagna di stampa e dossier orchestrata dalla destra e dai costruttori contrari alla sua riforma urbanistica. La rottura con De Mita fu totale e, malgrado un ritorno di Sullo nella Dc, mai più ricomposta. Quando morì, venti e passa anni fa, De Mita – all’epoca al suo secondo, di tre, mandati al parlamento europeo – lo ricordò così: «Probabilmente una personalizzazione eccessiva nell’affrontare i problemi non gli ha consentito di trovare quell’equilibrio necessario per esprimersi al meglio delle sue enormi possibilità».