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Ave Hollywood, l’omaggio dei Coen

Ave Hollywood, l’omaggio dei Coen

Berlinale 66 Apertura con una lettera d’amore al cinema americano firmata dai due fratelli registi. In concorso «Zero days» di Alex Gibney e «Chi-raq» di Spike Lee

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 6 febbraio 2016

Berlino 2016 apre con una lettera d’amore al cinema americano, firmata da due tra gli autori meno inclini al romanticismo che ci siano. Hail Cesar (Ave Cesare, in uscita il 10 marzo in Italia) dei fratelli Coen, prende il suo nome dal titolo di un immaginario polpettone religioso in corso di lavorazione alla Capitol Pictures (già teatro dei tormenti dello sceneggiatore Barton Fink). Siamo nella Hollywood dell’inizio anni cinquanta, anche se il tono della voce fuori campo evoca l’hard boiled di decadi precedenti. Eddie Mannix (Josh Brolin) – devotamente cattolico, in una città controllata da immigranti ebrei- è una via di mezzo tra un capo dello studio e un fixer (nella realtà Eddie Mannix fu un famoso fixer di Luis B. Mayer e, come in Barton Fink, la MGM sembra la Major di riferimento).

Matrimoni improvvisati per salvare l’immagine della starlet edonista incinta per l’ennesima volta, promozioni sul campo di texanissimi cowboy canterini a rubacuori del melodramma upper class quando la star originale del film finisce di nuovo a disintossicarsi, crisi di nervi di intellettuali europei alle prese con attori bifolchi, far passare un copione all’esame di 5 leader religiosi diversi….e l’occasionale osso gettato alle columnist assetate di sangue sono il pane che Eddie mastica flemmaticamente tutti i giorni. A complicargli la vita arriva il rapimento del protagonista di Hail Cesar (George Clooney, più Victor Mature che Charlton Heston) ad opera di un gruppo criminale di cui fa parte anche Herbert Marcuse (non diciamo di più per non rovinare la sorpresa ma Coen+ Guerra Fredda…). Buffissime scene di prosaico backstage hollywoodiano sono intessute ai magnifici sogni prodotti dalla «fabbrica».

Nelle ricostruzioni di balletti acquatici alla Esther Williams, di western musicali, di set indimenticabili (la casa sul mare di È nata una stella..) e di una splendida coreografia di marinai che omaggia Gene Kelly la satira abituale dei Coen è riscaldata da affetto sincero. L’energia contagiosa di questo candy store che hanno amato fin da bambini (i fratelli sono nati negli anni ’50) quella che Robert Altman aveva saputo comunicare in un’unica sequenza, all’inizio di The Player. E la magia inafferrabile che salda ciò che succede fuori e dentro allo schermo riporta alla mente quello che rimane tutt’oggi un insuperabile tributo alla Hollywood classica, The Three Amigos, di John Landis.

Un padre (Michael Shannon) in fuga con il figlio dotato di poteri soprannaturali in uno dei titoli più attesi dei concorso, Midnight Special, di Jeff Nichols. Al suo primo film da studio (la WB) il regista texano di Take Shelter e Mud ha detto di essersi ispirato a capolavori degli anni ottanta, come Incontri ravvicinati del terzo tipo e Starman, e in effetti il trailer del film –pieno di blu e luci bianche nella notte- ha un sapore dichiaratamente ambliniano. La tensione verso il soprannaturale aleggiava già nelle visioni personalissime di Nichols, Take Shelter e Mud, ma è la prima volta che il regista (autore anche della sceneggiatura) lo mette al centro della storia, e che ha un budget per gli effetti speciali. Nel cast insieme a Shannon, Kirsten Dunst (la mamma del bambino), Adam Driver (un impiegato del governo) e Sam Shepard (un leader religioso fondamentalista).
Oltre alla grande curiosità per il film, sarà interessante vedere come questo autore indie, che fa un cinema di grande forza visiva e potente slancio autoriale si misurerà con l’egemonia del più «pragmatico» J.J. Abrams nel revival della sci-fi made in New Hollywood.

Abbandonando per un attimo l’aplomb, asciutto, da supergiornalista investigativo che caratterizza la sua poetica e la texture dei suoi film, Alex Gibney ha definito il suo nuovo lavoro, Zero Days, «un docu-thriller». È da tempo che l’instancabile autore newyorkese lavorava, insieme alla casa di produzione Participant, a questo progetto sul segretissimo virus Stuxnet, usato –si suppone- nel 2010, dal governo USA, insieme a quello israeliano, per attaccare i laboratori nucleari dell’Iran, in particolare quello di Natanz. Il governo americano non ha mai riconosciuto «l’attacco» e di cyber-guerre si parla ancora poco al cinema, specialmente quello di non fiction. Il che rende questo nuovo lavoro di Gibney ancora più imperdibile.

Sempre in concorso, Genius, di Michael Grandage, adattato dal libro Max Perkins: Editor of Genius (1978), sul rapporto tra lo scrittore Thomas Wolfe e il leggendario editor newyorkese che (oltre a Wolfe) lanciò , e poi sostenne, le carriere di Fitzgerald, Hemingway, Erskine Caldwell, Ring Lardren, James Jones… con Colin Firth (nel ruolo di Perkins) e Jude Law (in quello di Wolfe).

E, dopo l’uscita Usa, l’autunno scorso, arriva in concorso alla Berlinale anche Spike Lee, con Chi-raq (recensione sul manifesto del 5 dicembre), titolo in cui si contraggono la guerra in Medio Oriente e quella nei ghetti delle grandi metropoli americane, ripreso dal soprannome che la città di Barack Obama si è conquistata negli ultimi anni, grazie al dilagare del crimine e alle guerre tra gang. Arrivato nelle sale americane in abbagliante coincidenza con i mass shootings in Colorado e a San Bernardino, le proteste contro il municipio di Chicago, dopo il rilascio di un video i cui si vede un poliziotto crivellare di proiettili un ragazzo nero, e tre settimane dopo che la stessa città è stata scossa dall’uccisione di un bambino, giustiziato in un vicolo dai membri di una gang rivale a quella di suo padre, sia politicamente che esteticamente, Chi-raq è il film più appassionato, originale e provocatorio che Spike Lee ha realizzato da anni. E non solo per la sua straordinaria attualità.

Vengono invece presentati fuori concorso, in una sezione eventi speciali, le prime europee di Where To Invade Next, di Michael Moore (il manifesto, 4 ottobre 2015) e Miles Ahead, il biopic di Don Cheadle su Miles Davis, appena visto anche al Sundance Film Festival.

Ancora da Sundance (dove ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura), questa volta nella sezione Forum, il documentario Kate Plays Christine, di Robert Greene (il manifesto, 4/2/2016). E, sempre nel programma Forum, incuriosisce Short Story, primo lungometraggio dell’apprezzato cortista del New Jersey Ted Fendt e unico film in 35mm della sezione, che include un altro indie americano, Fantastic, di Offer Egozy.

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