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Avanguardia e ricerca al Jazz em Agosto

Avanguardia e ricerca al Jazz em AgostoRob Mazurek e Exploding Star Orchestra – foto di Gulbenkian Música – Vera Marmelo

Musica iIrreversible Entanglements e l’Exploding Star Orchestra tra gli ospiti della 38esima edizione del festival portoghese

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 4 agosto 2022

«We have a different agenda!», scandisce Moor Mother, voce degli Irreversible Entanglements: e nella serata di apertura della 38esima edizione di Jazz em Agosto, nell’anfiteatro in mezzo al parco della Fondazione Gulbenkian, viene da pensare che un’agenda diversa ce l’ha anche questa storica rassegna. Un festival che ragiona ancora, grazie a dio, in termini di musica come espressione di luoghi e momenti storici specifici, di un tessuto sociale e politico particolare: insomma, il soul era Detroit e Memphis negli anni sessanta delle lotte per i diritti civili, il punk era Londra alla fine degli anni settanta, e non è che poi siamo entrati nella post-storia. Così, dopo due anni forzatamente a scartamento portoghese, alla Gulbenkian il jazz, sempre con la direzione di un veterano come Rui Neves, torna ad un cartellone di profilo internazionale e ci parla di Chicago, di New York, di Lisbona di oggi, e un po’ anche di Londra, e con un cartellone che non capita tutti i giorni richiama addetti ai lavori e appassionati da tutta Europa, parecchi anche dall’Italia.

Un festival che ragiona ancora, grazie a dio, in termini di musica come espressione di luoghi e momenti storici specifici, di un tessuto sociale e politico particolare.

UN FESTIVAL che non è mai stato piacione, che non considera il jazz arte decorativa, e che – a differenza di molti altri – non sembra considerare l’avanguardia americana e afroamericana come un semplice dettaglio all’interno dell’universalizzazione del jazz. Di Irreversible Entanglements abbiamo riferito qualche mese fa da Novara: riascoltarli a distanza di poco tempo conferma la forza del loro denso amalgama di fiati (Keir Neuringer, sax alto, Aquiles Navarro, tromba), elettronica, contrabbasso (l’instancabile Luke Stewart), batteria (dove nel frattempo è tornato Tcheser Holmes, membro originario), percussioni, spoken word (Moor Mother). Fra il loro set e quello – la sera dopo – della Exploding Star Orchestra del trombettista Rob Mazurek saltano all’occhio alcuni corroboranti elementi coincidenti: la capacità di reggere – tenendo saldamente agganciata l’attenzione dell’ascoltatore – un lungo flusso senza soluzione di continuità (un’ora e mezzo gli Irreversible, un’ora e un quarto Mazurek), senza appoggiarsi a brani con un inizio e una fine; e il rapporto non passatista con il passato, interiorizzato, metabolizzato, che viene a nutrire l’oggi, ma mai ricalcato.

PASSATO che per gli Irreversible è il free jazz storico, ma proiettato nelle urgenze odierne, per Mazurek è, oltre che in generale l’esperienza dell’avanguardia, per esempio il Don Cherry indianeggiante che aleggia nel motivo di apertura e chiusura, il Miles Davis elettrico evocato da certe atmosfere sospese, persino in qualche momento un sentore del Miles orchestrale con Gil Evans ma in una chiave free. I decenni corrono, e a Mazurek bisogna dare atto che dagli anni novanta di Chicago Underground, progetto incarnatosi in vari formati (dal duo all’orchestra), e fino ad arrivare ai nostri giorni, il trombettista (che dopo Chicago è stato a lungo in Brasile e vive da anni in Texas) ha sviluppato proposte tanto varie quanto marcate dalla sua spiccata personalità e quasi sempre molto consistenti, non ultime quelle orchestrali.

ALLA TESTA di una formazione di una dozzina di elementi, di alto livello e con diverse figure di spicco di area e/o formazione chicagoana, a cominciare dal batterista Chad Taylor – vecchio amico dai tempi di Chicago Underground – che ha orientato con decisione la macchina ritmica della compagine, Mazurek ha valorizzato in maniera intelligente e equilibrata il solismo dei componenti della formazione (oltre a Taylor citiamo Damon Locks, testi, voce, elettronica, Nicole Mitchell, flauti, Tomeka Reid, violoncello, l’italiano Pasquale Mirra, vibrafono, il francese Julien Desprez, chitarra elettrica, Angelica Sanchez, piano, il norvegese Ingebrigt Haker Flaten, contrabbasso), e ha inanellato con grande verve un pregnante assortimento di situazioni, dalle sarabande free ai momenti di sospensione e attesa alle cadenze incalzanti, in un insieme con un senso unitario e un carattere fortemente contemporaneo.
Il festival, con nove concerti serali e qualche appuntamento in un auditorium più ridotto nel tardo pomeriggio, continua fino a domenica: in chiusura atteso il New Masada Quartet di John Zorn.

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