Visioni

Avanguardia di suoni e stili: nell’universo di John Zorn

Avanguardia di suoni e stili: nell’universo di John ZornJohn Zorn a Modena – foto di Rolando Paolo Guerzoni

A teatro I settant’anni del compositore e polistrumentista americano celebrati tra Venezia, Modena e Bologna

Pubblicato circa un anno faEdizione del 3 novembre 2023

Entra – neanche dirlo – con la solita tenuta, pantaloni mimetici e felpa, col cappuccio sulla testa. Domenica 29, pomeriggio, a Venezia – penultimo appuntamento della Biennale Musica – John Zorn va a sedersi a quello di destra dei due organi che si fronteggiano sul palco della sala concerti del Conservatorio. Comincia a tirare le manopole dei registri: l’uso dei registri prevale sull’articolazione sulle tastiere, Zorn fa per lo più dei suoni, senza nessuna retorica «organistica». Crea una sorta di fibrillazione puntillistica, mentre con i pedali mette in funzione sull’altro organo – i due organi sono collegati – suoni più compatti, sul registro medio-basso. Appoggia un peso su una delle tastiere per ottenere dei cluster, e intanto ha le mani libere per giocare coi registri. Inserisce delle piccole zeppe tra i tasti, per bloccarli e produrre dei suoni continui che utilizza come base, e si precipita all’altro organo per ricamarci sopra o fare degli altri suoni continui e ottenere un fascio di suoni. Corre avanti e indietro. Spesso sembra un bambino che pensa: vediamo un po’ che cosa succede se schiaccio questo tasto, se tiro questa manopola… Zorn non è nato ieri, ma gli rimane il privilegio di uno stupore verrebbe da dire fanciullesco per i suoni, di una gioia quasi infantile per la musica.

Eclettismo come cifra poetica di una figura emblematica dell’ultimo mezzo secolo

IL 2 SETTEMBRE scorso Zorn ha compiuto settant’anni: subito dopo Venezia, ha proseguito per John Zorn @70, coproduzione di Teatro Comunale di Modena, Teatri di Reggio Emilia e Angelica di Bologna; per due sere analoghe a quelle di Modena e Reggio è poi partito per Parigi, con a ruota – programma ancora più ricco – l’Olanda (ci sarà quindi anche Città del Messico). I due assortimenti di musiche e musicisti presentati a Modena e a Reggio sono un piccolo campionario di una varietà di interessi, di un eclettismo che sono cifra poetica di una figura emblematica dell’avanguardia dell’ultimo mezzo secolo.
Lunedì 30 al Teatro Storchi di Modena ha aperto Barbara Hannigan con Stephen Gosling al pianoforte, in Jumalattaret, ispirato alle dee pagane finlandesi: un lavoro di Zorn di non agevole esecuzione anche per una fuoriclasse come Hannigan, rinomata soprano specializzata nel repertorio novecentesco e contemporaneo. Ascoltandola il pensiero corre alla indimenticata Cathy Berberian. La presenza di Hannigan in un tour come questo è indicativo anche della capacità di Zorn di creare importanti reti di amicizie: non è pensabile che Hannigan percepisca per questo impegno un cachet paragonabile a quelli a cui è abituata nel mondo classico. Heaven and Earth Magick è una sorpresa: in quartetto con Gosling, Jorge Roeder al contrabbasso e Ches Smith alla batteria, colpiscono la classe e la grinta della vibrafonista Sae Hashimoto in una musica in cui scarti, atmosfere, portamento contemporaneo distanziano dalle convenzioni jazzistiche. Poi Zorn: dopo decenni, ascoltarlo in solo al sax alto è impressionante per la personalità e la ricchezza di vocabolario con cui crea originali, audaci flussi di fraseggio, effetti, varietà di timbri, andando dal parossismo agli accenti melodici mediorientali. Infine il trio John Medesky, Matt Hollenberg, Kenny Grohowski: rock a briglia sciolta, corrusco, Hammond al fulmicotone, schitarrate, batteria tonitruante.

MARTEDÌ 31, anche al Valli di Reggio apre Hannigan, prima in duo con Gosling quindi in quartetto con Roeder e Smith. Poi una Suite for Piano con Brian Marsella in trio con Roeder e Smith. Infine quaranta minuti di New Masada Quartet con Julian Lage alla chitarra, Roeder, Kenny Wollesen alla batteria e Zorn, sax alto, ma anche impegnato a dare continue indicazioni ai partner: formidabile uno di quei suoi pezzi schizzati che se non sono di Ornette Coleman – grande ispirazione di Zorn – lo sembrano; magnifico un altro brano in cui dall’intro di basso di Roeder, dove sembra aleggiare Song for Che, si va ad un epico, lirico tema spagnoleggiante, e potrebbe essere un bellissimo omaggio a Charlie Haden.
Poi rapido spostamento alla chiesa di Santa Maria dei Servi a Bologna: a mezzanotte, in piena Halloween, altra performance all’organo: organo diverso, performance diversa da quella di Venezia. Auguri a John, e a tutti noi cento di questi Zorn.

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