Elisa Fuksas aveva già, con il precedente romanzo, Ama e fai quello che vuoi, sempre da Marsilio, indagato la propria autobiografia. Un’indagine documentaristica che entra tra i risvolti della propria storia personale per ridefinirne i contorni e segnarne le prospettive. Ora in Non fiori, ma opere di bene (pp. 400, euro 19) Fuksas riprende il filo di un discorso intimo e privato che la vede al centro di un’esplorazione famigliare ardita e rischiosa, in cui tutto, anche il senso dell’esistenza stessa, potrebbe franarle addosso da un momento all’altro.

Fuksas in questo, che è a tutti gli effetti un dittico, utilizza lo strumento dell’autobiografia come oggetto utile ad atterrare una ricerca introspettiva che parte chiaramente dalla sua storia personale, ma si apre ad una possibile emotività comune, o meglio ancora ad una vera e propria storia comune che rivela una costruzione identitaria forte seppure in parte offuscata dall’appiattimento contemporaneo. Fuksas riesce così nella costruzione di quella che è in parte una vera e propria storia nazionale dando forma ad un romanzo della nazione come autobiografia. Partendo ogni volta da se stessa, l’autrice riesce a offrire una costruzione solida capace di contenere visione e intimità.

RIPERCORRENDO a ritroso la storia della propria famiglia e in particolare del nonno paterno il romanzo libera ossessioni e pulsioni generando percorsi imprevisti e sguardi sul mondo che è stato e anche che sarà, seducenti e fortemente emotivi. Muovendosi attorno ad accadimenti minimi, quasi di spuria quotidianità, scritto con frasi breve a tratti secche, Non fiori ma opere di bene, maschera con cura la propria struttura che è in realtà massiccia e potente, e offre una narrazione sincopata quanto armonica. Un romanzo che gioca al memoir e viceversa, una narrazione fortemente contemporanea che si alimenta del passato e della sua mistica rivelando una forza visionaria (e anche ironica) mai scontata e vivida.

LA CITTÀ prende così la forma continua di un autoritratto mobile dentro al quale naviga il passato mischiandosi con le possibilità del futuro. Un movimento perpetuo segnato da un presente minimo che sempre in balia dell’incertezza dei momenti, prova a puntellare i confini possibili di un’esistenza che rivela la propria impossibilità ad essere contenuta e che va ben oltre i giorni e gli anni della protagonista. Libro fortemente fisico e sensuale, Non fiori ma opere di bene, esplode l’unicità di un corpo e della sua esistenza rivelando (e rivendicando) – sulla medesima linea temporale – l’appartenenza ad un mondo infinito di personaggi e figure famigliari e non, storiche e non, possibili come irreali. Elisa Fuksas, anche componendo una narrazione frammentaria, rivela una compattezza letteraria matura, capace di accogliere nel suo sguardo le possibilità che solo la letteratura con la forza di un passato prossimo venturo può accogliere e rendere evidenti. Un libro audace e timido al tempo stesso, figlio di un’ossessione inguaribile, ma anche di una fiducia obbligata, binari estremi di una contemporaneità feroce eppure intima.