Qualcuno in Italia ricorda il caso Mondazzoli? In fondo non è passato molto tempo eppure come sembrano lontane le polemiche che nel 2015 hanno accompagnato l’acquisizione da parte del gruppo Mondadori (cioè Fininvest, cioè la famiglia Berlusconi) di quello che era stato il marchio arcirivale, Rizzoli, con i suoi vari satelliti. Strilli, strepiti, sbattimenti di porta. L’ombra del monopolio sull’editoria italiana. Il clamoroso addio di Umberto Eco a Bompiani (che apparteneva alla galassia rizzoliana e che in seguito sarebbe stata ceduta al gruppo Giunti) con la conseguente nascita di un nuovo marchio, La nave di Teseo. Solo sette anni, ma pare un’altra epoca, anche perché la quota di mercato congiunta di Mondadori e Rizzoli non è cresciuta quanto ci si aspettava.

Tout passe, tout casse, tout lasse et tout se remplace («tutto passa, si rompe, stanca, si rimpiazza»), dicono i francesi, ed è possibile che il vecchio motto riecheggi sottovoce ora proprio a Parigi, dove Editis, secondo gruppo editoriale di Francia, o più precisamente la sua casamadre, Vivendi, di proprietà dell’imprenditore (assai di destra) Vincent Bolloré, sarebbe sul punto di inghiottire il gruppo Lagardère, cui fa capo Hachette, il più importante marchio editoriale d’oltralpe, il terzo nel mondo. Anzi, precisa Le Monde, la fusione è già avvenuta, dal 14 giugno Vivendi possiede il 57,35% di Lagardère, e se si usa il condizionale, è solo perché manca l’approvazione della Commissione europea.

Grande allarme a Parigi presso gli editori indipendenti che si pongono una serie di domande – «Se questa fusione si concludesse, cosa accadrebbe alla diversità dell’editoria francese? La situazione talvolta precaria degli autori migliorerebbe? L’eccellenza della nostra rete di librerie ne uscirebbe rafforzata?» – per le quali l’unica risposta possibile sembrerebbe un «no» privo di sfumature.

Se sarà così, si vedrà dopo il pronunciamento europeo, ma intanto la guerra sul campo (editoriale) è già cominciata, e se la si immaginasse come un film, il titolo sarebbe pronto: 2022 – Fuga da Fayard. Non passa infatti giorno senza che qualche autore di rilievo annunci la propria decisione di abbandonare la storica casa editrice fondata nel 1857 da Joseph-François Arthème Fayard e già dal 1962 assorbita da Hachette.

Se ne sono andati, tra gli altri, Virginie Grimaldi, «la romanziera più letta di Francia dopo Guillaume Musso», come la definisce su Le Parisien Sandrine Bajos, e il saggista Jacques Attali, che con Fayard ha pubblicato decine di libri. E sono sul punto di andarsene i filosofi Alain Badiou e Barbara Cassin, curatori presso la casa editrice della collana «Ouvertures», di cui annunciano la chiusura in una lettera in parte pubblicata da Nicole Vulser ancora su Le Monde. A motivare l’addio di Badiou e Cassin sarebbero le dichiarazioni della nuova presidente e ad di Fayard, Isabelle Saporta, che avrebbe fatte sue le critiche rivolte da Nicolas Sarkozy (amministratore di Hachette Livre e amico di Arnaud Lagardère) alla gestione di Sophie de Closets, che l’ha preceduta alla guida di Fayard fino al mese di marzo di quest’anno e che sarebbe sul punto di passare a Flammarion (proprietà Madrigall, cioè Gallimard, quindi indipendente), portandosi dietro un bel po’ di nomi eccellenti.

La vicenda comunque è ingarbugliata sotto vari punti di vista, non ultimo il profilo di Isabelle Saporta descritto – siamo di nuovo su Le Monde, stavolta a firma di Aude Dassonville – come «ecologista, marcato a sinistra», e quindi lontano da quella che si immagina come la «linea Bolloré». Non resta che aspettare, ricordando che – purtroppo o per fortuna – tout passe, tout casse, tout lasse, tout se remplace.