Autore-personaggio o della scomparsa degli scrittori
Express La rubrica delle culture che fa il giro del mondo e che oggi si sofferma su gli scrittori. Ché non sono più quelli di prima
Express La rubrica delle culture che fa il giro del mondo e che oggi si sofferma su gli scrittori. Ché non sono più quelli di prima
«Scrittori di un tempo, scrittori di oggi. Cambio di paradigma» si intitola un lungo articolo dello scrittore e giornalista spagnolo Álvaro Colomer uscito sul quotidiano barcellonese La Vanguardia. In questi termini, senza neanche uno di quei punti interrogativi che i titolisti usano come escamotage quando si vogliono cavare d’impiccio senza sforzo, l’affermazione suona perentoria: gli scrittori non sono più quelli di prima (e forse – potremmo aggiungere tra le righe – sono peggio di quelli di prima).
In realtà Colomer è meno assertivo di quanto lascia supporre il titolo o perlomeno pone la questione in termini aperti, chiedendosi (e chiedendo a vari colleghi) in che misura è davvero cambiato il mestiere di chi scrive, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con i lettori.
Certo, un cambio di paradigma c’è stato, e per dimostrarlo il giornalista prende avvio da un episodio preciso: «Parigi, primavera 1957: un giovane Gabriel García Márquez intravede un maturo Ernest Hemingway che cammina sul lato opposto del Boulevard Saint-Michel. Il colombiano non crede alla sua fortuna: da tempo desiderava imbattersi nel suo idolo, frequentando persino il suo caffè preferito per fingere di incontrarlo. Eppure, ora che lo trova dall’altra parte della strada, non sa cosa dirgli. Va nel panico, non osa avvicinarsi a lui, si sente come una pulce di fronte a un gigante. Alla fine, quando l’americano sta per girare l’angolo e scomparire per sempre, Gabo raccoglie le sue forze e, stringendo le mani intorno alla bocca, grida: «Maestro!’. L’altro si gira, saluta e se ne va».
Com’è diversa la situazione rispetto a oggi! Gli autori non sono più irraggiungibili, anzi: festival e presentazioni a ritmo serrato ce li avvicinano tutte le volte che vogliamo e l’idea che, oltre a svolgere diligentemente il suo compito nei vari firmacopie, lo scrittore o la scrittrice possa essere un esempio di vita suona antiquata se non ridicola.
Citando un collega, Antonio Iturbe, editorialista di La Vanguardia, Colomer individua perfino «il momento in cui i media hanno creato un altro modello di autore… gli anni ’90, quando i giornalisti trasformarono gli autori in star dei media: chiedevano loro l’opinione su qualsiasi argomento, li invitavano a partecipare ai programmi televisivi, li fotografavano in ogni sorta di pose… Tutta questa attenzione incontrollata portò alla comparsa di una nuova categoria: lo scrittore-personaggio».
Difficile non essere d’accordo, ma il dubbio, semmai, è sul «fantasma dello scrittore», come lo aveva definito Roland Barthes per evidenziare quanto spesso si tenda a idealizzare il passato, soprattutto nel mondo culturale. «Pensare che ci sia stato un tempo in cui la professione era rivestita di maggiore dignità rispetto a oggi», commenta Colomer, è «un problema di nostalgia che, come spesso accade con questo sentimento, di rado coincide con la realtà».
Ma allora, in cosa consiste il cambiamento? Interpellata dal giornalista, l’autrice messicana Cristina Rivera Garza, nota anche in Italia per romanzi come Nessuno mi vedrà piangere o L’invincibile estate di Liliana, punta su un privilegio antico che oggi non c’è più: «Ora gli scrittori lavorano come giornalisti, correttori di bozze, insegnanti, camerieri… e hanno sempre meno tempo per scrivere. Oggi abbiamo lo scrittore che lavora, non lo scrittore ricco di nascita. Voglio dire che c’è stato un cambiamento di classe sociale e, ovviamente, di genere». Anche qui, impossibile pensarla diversamente, e tuttavia restano domande in sospeso: esiste un legame tra questa evoluzione e la nascita dell’autore-personaggio? E come la mettiamo con la perdita dell’aura, ammesso e non concesso che un tempo l’aura esistesse?
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