Autonomia, servirà un altro tavolo
Passaggio interlocutorio in Consiglio dei ministri per la riforma voluta dalla Lega. Ancora resistenze del M5S che si ricorda della centralità del parlamento e chiede di coinvolgere deputati e senatori. Ma il voto finale sarà blindato. Un report in mano ai grillini lancia l'allarme: rischiamo cittadini di serie A e di serie B. Salvini: serve un vertice politico
Passaggio interlocutorio in Consiglio dei ministri per la riforma voluta dalla Lega. Ancora resistenze del M5S che si ricorda della centralità del parlamento e chiede di coinvolgere deputati e senatori. Ma il voto finale sarà blindato. Un report in mano ai grillini lancia l'allarme: rischiamo cittadini di serie A e di serie B. Salvini: serve un vertice politico
La proposta definitiva per ognuna delle tre regioni lanciate verso l’autonomia rafforzata non c’è ancora. Il Consiglio dei ministri di ieri sera non ha sciolto gli ultimi nodi. Riguardano infrastrutture, sanità, ambiente e soprintendenze per Veneto e Lombardia, la possibilità di contare su risorse certe per edilizia scolastica, difesa del suolo, riqualificazione urbana e altri capitoli per l’Emilia Romagna. A frenare sono ancora i ministri grillini di trasporti, salute, beni culturali e ambiente. La riunione di governo, a 24 ore dalla scadenza del 15 febbraio annunciata due mesi fa, si è risolta in una «comunicazione», tant’è che la mistra leghista per gli affari regionali Stefani, uscendo da palazzo Chigi alle 21.15, ha festeggiato la «fine della fase tecnica». Ma ha aggiunto che «in settimana ci sarà un tavolo per formulare la proposta definitiva». Ci sarà anche un altro vertice politico con le regioni.
Neanche allora la proposta sarà veramente definitiva, perché i 5 Stelle hanno aperto un altro fronte, quello del coinvolgimento del parlamento. Hanno perso, perché è stato deciso che i disegni di legge non saranno emendabili da deputati e senatori. Ma «stiamo studiando come coinvolgere il parlamento», ha detto Salvini. «Ci sarà un confronto parlamentare prima della firma dell’intesa», ha aggiunto la ministra Stefani. Secondo il ministro M5S per i rapporti con il parlamento Fraccaro «le camere saranno coinvolte nella maniera e nei tempi che riterranno opportuni». Magari solo a livello di commissioni.
I parlamentari 5 Stelle hanno in mano un report – svelato ieri dall’agenzia Dire – in cui gli accordi con le regioni vengono smontati pezzo per pezzo. «Il trasferimento di funzioni non può e non deve essere un modo per sbilanciare l’erogazione di servizi essenziali a favore delle regioni più ricche. Guai alla creazione di un contesto in cui ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B, esito espressamente vietato dalla Costituzione». Nel documento si propone altrimenti, in modo chiaramente provocatorio ma sulla base di quanto spiegato il 13 febbraio al convegno della Cgil dal presidente della Svimez Giannola, di «regionalizzare anche il debito pubblico, facendolo pagare in proporzione alla ricchezza prodotta da ciascuna regione e alla residenza territoriale dei possessori di titoli di stato».
Sull’autonomia i 5 Stelle ritrovano di colpo l’attenzione per le prerogative del parlamento dimenticata in mesi di strappi, decreti e fiducie. «Il ruolo delle camere è a rischio», dicono, mettendo tra parentesi democrazia diretta e annunci di tagli a «poltrone» e «stipendi». «Sarebbe assurdo impedire al parlamento, ossia l’assemblea rappresentativa di tutti i cittadini, di formulare proposte di correzione a una legge che tocca la vita di tutti». È uno dei nodi da sciogliere. Nelle bozze delle intese il governo si impegna a «blindare» l’iter dei disegni di legge «in conformità al procedimento ormai consolidato in via di prassi per l’approvazione delle intese tra lo stato e le confessioni religiose». Bisogna richiamarsi alla prassi perché la riforma costituzionale del Titolo V del 2001 voluta dal centrosinistra (che prevede le forme di autonomia differenziata) è rimasta senza legge di attuazione. L’unica procedura formalizzata assegna 60 giorni al governo per venire incontro alle richieste delle regioni: anche in questo caso una mossa del centrosinistra nel 2013 (iniziativa del Pd veneto, ministro per gli affari regionali Delrio).
Il Pd è in imbarazzo. La fuga in avanti del presidente dell’Emilia Romagna Bonaccini non può essere sconfessata; non lo fa Zingaretti (che gode dell’appoggio alle primarie del presidente dell’Emilia) che se la cava spiegando che solo il modello di autonomia chiesto dall’Emilia Romagna non porta «alla distruzione del paese». Martina dice solo che va respinta «qualsiasi forzatura». Lunedì il parlamentari del partito approfondiranno la questione a porte chiuse ascoltando giuristi e i presidenti Pd delle regioni (anche Bonaccini ma non Zingaretti).
Dall’altra parte Berlusconi non vede l’ora di correre in soccorso della Lega. Forza Italia ricorda come il federalismo regionale sia sempre stato nei programmi del partito e il Cavaliere aggiunge solo che non va dimenticato il sud. Il soccorso potrebbe tornare utile, visto che almeno una cosa della procedura è chiara: alla camera e al senato serve la maggioranza assoluta su tutti i disegni di legge.
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