Autoerotismo & libertà
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Autoerotismo & libertà

We Want Sex Quando Anaïs Nin nel 1977 pubblicò «Il delta di Venere», la Rivoluzione o Liberazione sessuale era cominciata solo da un decennio, era il 1940...
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 23 luglio 2022

Il film di Lisa Billuart-Monet e Daphné Leblon, «Il mio nome è clitoride» è illuminante su molti argomenti: la letteratura incompleta sul tema, l’informazione assente sull’apparato genitale femminile e sulla masturbazione e la rimozione del discorso sull’autoerotismo tra coetanee tra i 16 e i 25 anni. Invita a comprendere come cercare il piacere da sole, per essere più indipendenti e felici. Il centro del film è il rapporto di causa effetto diretto tra masturbazione, piacere e clitoride, fonte di godimento storicamente censurata e a compensare l’atavico squilibrio tra percezione maschile e femminile dell’orgasmo. Quando Anaïs Nin nel 1977 pubblicò «Il delta di Venere», la Rivoluzione o Liberazione sessuale era cominciata solo da un decennio, era il 1940. Quanta strada sia stata compiuta dal ’68 a oggi sul tema della liberazione sessuale è inutile domandarselo: ben poca nei fatti. Dalle interviste del film, emerge chiaramente ancora un velo di pudore e imbarazzo nel parlare del proprio piacere ed ha a che fare con un falso senso della morale percepito nella società, legato alla misoginia e al senso di colpa indotto dal cattolicesimo.

Oggi con i «Monologhi della Vagina »di Eve Ensler paredi avere raggiunto l’emancipazione sessuale, siamo così virago o prostitute, non più donne schermo come Beatrice o streghe al rogo come Giovanna D’arco, simboli perfetti dell’iconografia femminile secondo il pensiero imperante maschilista. Helen Hester, tra le fondatrici di Laboria Cuboniks, il collettivo a cui già si deve l’acclamato Manifesto xenofemminista, nel libro Xenofemminismo, che è assieme prosecuzione e superamento del manifesto originario, sviluppa una definizione dello xenofemminismo che prende le mosse da tre concetti chiave: tecnomaterialismo, antinaturalismo, e abolizionismo del genere. Suggerisce che la fluidità sessuale unita alla tecnologia può trasformare qualsiasi tipo di genere sessuale e realizzare qualsiasi tipo di identità sessuale all’infinito. «Il mio nome è Clitoride» invece mostra come le donne abbiano ancora molte difficoltà a parlare della propria sessualità, fanno fatica a riconoscere il piacere, a esplorare l’autoerotismo e a praticarlo.

E se si è adolescenti in un contesto geografico e culturale retrogrado e repressivo nei confronti delle donne, avere esperienza di come si raggiunge il piacere, o avere un orientamento sessuale diverso da quello usualmente accettato, è sicuramente complicato. Se consideriamo la sessualità come una delle maggiori espressioni dell’Io, sapere come e cosa ci piace non è importante solo a fini edonistici, perché tocca sfere più intime come la sicurezza, la libertà, la capacità di manifestare all’esterno la nostra volontà.

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