Austerità, la lettera spagnola
Ad agosto cadono ricorrenze importanti, ricordate da pochi ma che hanno cambiato la vita di molti; per esempio è l’anniversario (per la precisione il 5 agosto 2011) in cui ad […]
Ad agosto cadono ricorrenze importanti, ricordate da pochi ma che hanno cambiato la vita di molti; per esempio è l’anniversario (per la precisione il 5 agosto 2011) in cui ad […]
Ad agosto cadono ricorrenze importanti, ricordate da pochi ma che hanno cambiato la vita di molti; per esempio è l’anniversario (per la precisione il 5 agosto 2011) in cui ad un governo di un paese in difficoltà durante la crisi dei debiti sovrani è pervenuta una lettera che dava la linea dell’austerità che sostanzialmente permane da allora.
Questo paese non è l’Italia, ma la Spagna. Mentre già a fine settembre 2011 il Corriere della sera e il Sole 24-Ore divulgavano il testo della famosa missiva di Trichet e Draghi al governo di Berlusconi in merito alle misure da prendere secondo i vertici della Bce per «riformare» il paese, solo nel 2013 l’ex primo ministro Zapatero rese noto all’opinione pubblica che una comunicazione del tutto simile era stata inviata al suo governo. Stessi mittenti (vertici della Bce, il francese Trichet e Fernandez Ordonez, a capo della Banca centrale di Spagna al posto di Draghi), stessa data, stessi (più o meno) contenuti. Solo a dicembre 2014 la Bce ha desecretato il testo ufficialmente, attualmente leggibile sul suo sito web.
Il profilo delle polemiche sulla lettera all’Italia si è appuntato sul contenuto (la linea proposta è nettamente di austerità) e il metodo (istituzioni sovranazionali senza reale legittimità che danno istruzioni a governi democratici?). La sostanza del problema non sembra molto diversa nel caso della Spagna se si va dritti ai contenuti. Si scrive infatti che «la riforma della legge sulla contrattazione salariale adottata dal Governo spagnolo il 10 giugno 2011 dovrebbe rafforzare effetivamente il ruolo di accordi a livello di singola impresa, mirando ad assicurare una effettiva decentralizzazione delle negoziazioni. Nel seguente inter parlamentare la legge dovrebbe essere emendata per ridurre la possibilità da parte di accordi nazionali o regionali di limitare l’applicazione degli accordi a livello di impresa». Insomma una bella pedata ai contratti collettivi nazionali raccomandata dalla Bce.
E poi: «Rimaniamo piuttosto preoccupati del fatto che il governo non abbia adottato alcuna misura per abolire le clausole di aggiustamento all’inflazione, misure inadeguate per un mercato del lavoro all’interno di una unione monetaria in quanto ostacoli strutturali per l’adeguamento dei costi del lavoro». Adeguamento verso il basso chiaramente.
Terzo punto: «Il Governo dovrebbe intraprendere azioni eccezionali per incoraggiare la moderazione salariale [cioè riduzione…] dei salari del settore privato, seguendo i significativi tagli agli stipendi pubblici».
Si suggerisce infine di «introdurre un nuovo contratto di lavoro con bassa liquidazione e a tempo determinato», nonché di «eliminare ogni restrizione per il rinnovamento di contratti temporanei». E così il mondo del lavoro è sistemato.
La maggior parte dei «suggerimenti» si sono tradotti in pratica: se il Decreto Reale 7/2011 sulla riforma della contrattazione collettiva è del 10 giugno 2011, il Decreto Reale 3/2012 arriverà il 10 febbraio dell’anno successivo, rimandando nella stessa titolazione («misure urgenti per la riforma del mercato del lavoro») la dimensione emergenziale del suo obiettivo. A novembre 2011 le elezioni avrebbero affossato il parito di Zapatero e promosso con una robusta maggioranza il Parito Popolare dell’attuale premier Rojoy. La continuità delle politiche di austerità (in questo caso l’iter è iniziato coi socialisti e si è concluso agevolmente con il centro-destra) prosegue per gli anni successivi, e non solo per questo settore. A livello di bilancio pubblico il 2011 inaugura una serie impressionante di tagli, così come suggerito dalla lettera: assistenza sociale, cooperazione internazionale, cultura, educazione, sanità, servizi pubblici. E il debito pubblico? Aumenta dal 60% sul Pil a circa il 100%. Splendori dell’austerità.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento