Cultura

Audre Lorde, nel desiderio dell’altra

Audre Lorde, nel desiderio dell’altraAudre Lorde e la sua compagna Gloria Joseph

FEMMINISMI Una raccolta di versi scelti e tradotti per la prima volta. «D’amore e di lotta» si compone di poesie scelte da sillogi che vanno dal 1968 a quella postuma del 1993. Lesbica, Nera, madre, guerriera, antirazzista, in difesa dei diritti e della comunità Lgbt. Della sua vasta produzione sono arrivate in Italia poche cose ma cruciali, quattro anni fa. La raccolta di scritti politici «Sorella outsider» e la sua biomitografia «Zami»

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 5 ottobre 2018

«Mi sono mantenuta in vita con il sentire. Ci sono vissuta. E a un livello così sotterraneo che non sapevo parlare. Ero troppo occupata a sondare altri modi di ottenere e dare informazioni e tutto quel che potevo perché la parola non era certo il modo. La gente attorno a me parlava in continuazione – senza né dare né prendere granché di utile, né a loro né a me». A Montague, nel Massachusetts, è il 30 agosto del 1979 e chi racconta di sé ad Adrienne Rich è Audre Lorde. Entrambe poete, lesbiche, con un senso politico e pubblico esatto di ognuna delle due espressioni. Lorde teneva molto a definirsi anche Nera, madre e guerriera. In quelle tre ore di registrazione, apparse per la prima volta nel 1981 per Signs, si può assistere al nitore di una intelligenza indomabile, a una forza della consapevolezza di sé e delle proprie simili con cui ha condiviso, nell’arco della sua vita, anni di battaglie. A parlarne è una donna dotata di una vitalità meravigliosa che emerge dai racconti dei suoi anni giovanili. Quando esplicita l’esperienza del sentire come dirimente, Audre Lorde ha 45 anni ma queste percezioni – che trafiggono il suo corpo e la situano nel contesto politico di un femminismo radicale, accanto alle lotte Lgbt e a quelle antirazziste – sono state l’intelaiatura di tutta la sua produzione che risponde, nel suo caso, al modo stesso di abitare il mondo.

SONO ABITI SONTUOSI e al contempo scomodi quelli che decide di indossare, orlati di conflitti, adattamenti e ulteriori prese di coscienza di una molteplicità in divenire, lei che era nata a New York, figlia di immigrati provenienti da Grenada, nei Caraibi. È del 1978 il primo duro segnale del cancro per cui subisce una mastectomia – sono mirabili i suoi scritti in cui descrive il misurarsi con la malattia -, ecco spiegato meglio l’affondo sulla parola, sul comunicare che ha i tratti di un doppio ruolo, giocato sia in termini di discriminazione che di potenza. Ciascuno dei due aspetti li aveva sperimentati fin da bambina, nelle strade di Harlem, cimentandosi in un apprendistato sessuale ardente; poi a scuola e nella sua stessa professione di insegnante, così come di infermiera, operaia, segretaria, bibliotecaria.
Della vasta produzione di Audre Lorde è arrivato qualcosa anche in Italia, grazie all’impegno di alcune donne, ricercatrici e attiviste; quattro anni fa sono infatti usciti in contemporanea due testi capitali, Sorella Outsider. Gli scritti politici di Audre Lorde per le cure di Margherita Giacobino e Marta Gianello Guida, nelle edizioni Il dito e la Luna (l’intervista rilasciata ad Adrienne Rich fa parte del libro) e Zami. Così riscrivo il mio nome (a cura di Liana Borghi nella traduzione di Grazia Dicanio, per Ets) in cui narra la sua infanzia e adolescenza, le prime scoperte erotiche. Una lingua di inusuale forza si sprigiona in ogni riga della sua «biomitografia».

Eravamo nelle vicinanze dell’8 marzo e dalle colonne di questo giornale, nel 2014, in chiusa all’anticipazione dei testi che le curatrici di entrambi i volumi avevano accordato al manifesto, ci si augurava il prima possibile di leggere qualche traduzione italiana delle sue numerose poesie, contenute in dieci volumi. Un desiderio che finalmente si esaudisce, frutto di un lavoro certosino e appassionato, con la pubblicazione di una antologia di poesie scelte lungo tutto l’arco della sua composizione dal titolo D’amore e di lotta, edita da Le lettere (pp. 193, euro 16). Apparecchiata e tradotta dal collettivo WiT, Women in Translation, la raccolta va meritoriamente ad avviare un percorso – si spera senza indugio – verso una invasione editoriale dei versi di Audre Lorde, amazzone della magnificenza che cresce con «la radice della forza» delle sue antenate madri Nere e che nel 1990 viene nominata New York State Poet (prima donna e prima persona di colore).

IL COLLETTIVO WiT risponde a nomi importanti del panorama letterario e poetico italiano: Maria Micaela Coppola, Grazia Dicanio, Margherita Giacobino, Loredana Magazzeni (che firma anche la puntuale prefazione al volume), Mariagrazia “Migi Sean” Pecoraro, Maria Luisa Vezzali e Anna Zani. Il progetto, preparato, condiviso e poi lasciato ancora decantare fino all’accordo di tutte, sarebbe forse piaciuto a Lorde, immaginare lo stare insieme tra donne come risorsa che parla al mondo è già politica. Le raccolte, entro cui le poesie vengono selezionate per questa prima uscita italiana, partono da The First Cities del 1968 fino ad arrivare all’ultima, pubblicata postuma, nel 1993, a un anno dalla sua morte, The Marvelous Arithmetics of distance (si sofferma sulla stratificazione dei testi e sulle referenze che lo compongono, la bella postfazione di Rita Monticelli).
È appunto la poesia, che per le donne «non è un lusso» – come scrive la stessa Lorde in un breve saggio del 1977, anch’esso contenuto in Sorella Outsider – il luogo di elezione in cui «la casa delle differenze» si sgrana nel sentire che tiene in vita. Un’anatomia patita e regale, liberata dai segni del disprezzo, dalla vergogna e quindi dell’oppressione da parte di un mondo che spesso l’ha rifiutata e l’avrebbe voluta spingere nello scantinato razzista del congedo; la carne di cui parla sovente Audre Lorde è anzitutto il suo corpo di cui non ha paura mai, neppure quando ne deve raccontare lo sfinimento. Lo attraversa, lo vede da fuori e poi da dentro nell’altra grande scoperta che ha segnato la sua vita: quella dell’amore, mai separato dalla sessualità. «Dalla mia carne affamata / dalla mia bocca esperta / esce la forma che sto cercando / a ragione»; questa insaziabile oralità, tratta da In una notte di luna piena contenuta nella raccolta Cables to rage del 1970, segue «labbra rapide come uccellini», tra le cosce «il dolce acuto gusto del lime», ricamando un’«esperienza della pelle». Sono sconfinamenti di gabbie identitarie che si possono rintracciare anche in altri suoi versi, un attaccamento sensuale che, per irriducibilità, si riconosce anche in alcune pagine di Monique Wittig o Gloria Anzaldua.

LA PAROLA POETICA è tuttavia anche esito di una lotta non finita eppure compiuta, come in Litania per la sopravvivenza (tratta da The Black Unicorn del 1978) dove ad affiorare è un «noi», molto preciso. Sono quelle che vivono «sul margine», «sull’orlo costante della decisione / cruciali e sole», quelle che sono state «marchiate dalla paura». Perché infine «non era previsto che noi sopravvivessimo»; sono i volti di chi nasce in una comune «epoca di miseria», quando si teme che il pane diventi «nemico»; sono la moltiplicazione della stessa (e al contempo diversa) Sorella outsider (contenuta anch’essa nella silloge del ’78), è un «noi» di nate «nel ventre della Nerezza» (come esordisce Al poeta che si dà il caso sia nero e al poeta nero che si dà il caso sia una donna, che fa parte di Our Dead Behind Us del 1986). Eppure in quella comunità vivente sono in tante, che hanno assistito a diversi gradi di decolonizzazione, di disfacimento dei dettami patriarcali, sono «certe donne» che, come in Stazioni, invece di aspettare che qualcosa cambi decidono di trasformare se stesse; non sono mai tutte, a volte solo una, si chiama Blanche, Gloria, Janie o Flora, o «due ragazzine scure a Grenada» che «saettavano come pesci volanti».
La poesia, per Audre Lorde, è tuttavia anche strumento negli scambi quotidiani quando a rispondere è sempre lei, in versi, giacché «comunicare il mio sentire profondo in linguaggio lineare, in solidi blocchi di scrittura, mi sembrava un mistero, un metodo non per me». Ma il metodo qui sta nella folgorazione di un flusso che è la stessa esistenza a vergare, non si può cedere niente alla finzione, è un distillato esperienziale, dirà più avanti: è la poesia a far nascere il pensiero. Quanto abbia sofferto ogni parola di quelle contenute nelle dieci raccolte poetiche pubblicate in vita non è possibile da restituire.

IL PUNTO È SEMPLICE e fa parte di una lezione che Audre Lorde dà ancora oggi a chiunque, compresi quelli vorrebbero avvicinarsi alla poesia come a un concentrato onanistico. La sua poetica, sempre e anzitutto politica senza ampollosi proclami ma nel posizionamento della relazione con le altre (e gli altri), non pretende di dover parlare a nome di tutte e tutti, è materialità impastata al sangue disprezzato per anni di una intera comunità Nera, trattata con odio a cui – sempre lei – risponde con la rabbia in quanto passione dell’intelligenza politica. Quindi la poesia è un laborioso auscultamento delle viscere che non hanno necessità di grandi e mondate nobilitazioni universalistiche. Si avvia da un esame imprescindibile che ciascuna (e ciascuno) fa a partire da sé; e fa acquisire potere, forza. Con rara umiltà e irriverenza, perché le vite conducono ad asperità, disciplinamenti e privilegi che debbono anzitutto essere decostruiti. Del resto «il luogo del nostro potere di donna dentro ognuna di noi non è né bianco né in superficie; è buio, è antico, ed è profondo».

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