Auditel, rivince il Gattopardo
Ri-Mediamo La rubrica settimanale a cura di Vincenzo Vita
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L’Auditel, trent’anni dopo. È stata presentata nei giorni passati la nuova strategia del vecchio istituto di rilevazione dei dati dell’ascolto televisivo. L’autoriforma è considerevole, come si evince dall’interessante relazione tenuta alla camera dei deputati dal presidente Andrea Imperiali. All’inizio, infatti, erano seguite le reti del «duopolio» Rai-Mediaset, con qualche attenzione residuale al cosiddetto terzo polo, che allora aveva le sembianze di Telemontecarlo. Il resto del mondo era di fatto classificato nelle «altre».
Ora sono circa 440 le emittenti rilevate sul digitale terrestre e 209 i soggetti free e pay distribuiti sul satellite. Ed è in corso d’opera l’apertura alla SmartTv, al Pc, a smartphone e tablet: i device digitali. Non solo. Il dato di immediato rilievo è costituito – a partire dal 30 luglio- dall’introduzione di un «SuperPanel» di 16.100 famiglie, il triplo delle attuali 5.700.
Tuttavia, a monte rimane attualissima (anzi) la riflessione critica di Ien Ang nel suo cristallino volume «Cercasi audience disperatamente» (1991), laddove si mette in causa il punto di vista istituzionale (inteso come quello dei soggetti implicati commercialmente), che ha colonizzato le pratiche reali e la loro percezione. «L’audience è considerata nulla più che un’entità data per scontata, formata da un insieme di persone sconosciute, ma non per questo non conoscibili…».
Per quanto apparentemente perfezionati, i dati non ci raccontano la verità: non solo quanto, bensì come come si ascolta, pure tenendo acceso il video senza seguirlo davvero. Già nell’ottobre del 2015 scoppiò lo scandalo dei «bachi» nella mailing del campione, tali da vanificare ogni segretezza. Per non dire dei casi clamorosi del monoscopio seguito come il programma malgrado l’interruzione tecnica, o della curiosa omologazione in basso di taluni programmi (vedi l’opera o la lirica) scarsamente appetibili sotto il profilo pubblicitario. È utile rileggere l’ istruttiva intervista che fece ad una famiglia-meter nel dicembre del 2011 Alessandra Comazzi, giustamente celebrata dal suo giornale –La Stampa- dopo ventotto anni di critica televisiva.
E sì, perché in fondo il calcolo degli ascoltatori risponde all’esigenza dell’accumulazione primaria dei media: vendere il pubblico alla pubblicità. E, malgrado lo spirito innovatore, l’Auditel non pare cambiare granché rispetto alle origini.
Inoltre, va ben compresa la nuova età cross-mediale. Le attitudini del e nel consumo non riguardano solo la variazione della fruizione. Un programma, magari di nicchia (Cattelan?), raggiunge anche quattro milioni di visualizzazioni sui social e fa opinione a differenza di un programma di palinsesto forte per il traino inerziale della rete generalista. Proprio l’era numerica richiede approcci complessi per capire sul serio i numeri.
E veniamo alla questione delicata. Per quanto perfezionata, la società raccoglie i dati in esclusiva. Sarebbe stato assai meglio, in ottemperanza allo spirito della legge 249 del 1997, che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni mettesse a gara la ricerca, attribuendo la commessa ad almeno due soggetti in concorrenza. Neppure convince la logica sbandierata del Joint Industry Committee, vale a dire il modello di gestione attribuito ai diretti interessati: emittenti e associazioni della pubblicità o del settore. Insomma, i beneficiari della suddivisione dell’advertising siedono nella stanza dei bottoni. E il «Gattopardo» vince sempre: cambiare un po’ per non cambiare.
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