Martedì 15 novembre – riferisce il sito PRWeb – «BookBaby, leader nel self-publishing, e Speechki, un’azienda che utilizza l’intelligenza artificiale per creare audiolibri con voce sintetica, hanno annunciato una partnership che consentirà agli autori di BookBaby di creare audiolibri in modo rapido ed economico e di venderli attraverso il BookBaby Bookshop, godendo dei migliori compensi nel settore». In effetti, sia BookBaby, che si presenta come «l’unica compagnia di self-publishing capace di offrire tutti i servizi necessari sotto un unico tetto», sia Speechki sono sigle poco note in Italia, ma sarebbe un errore sottovalutare il patto che unisce le due società, che conferma l’irresistibile crescita degli audiolibri, estesa ora alla galassia dei testi autopubblicati. Certo, gli autori in proprio non potranno avvalersi di attori noti e amati per diffondere in versione audio i loro titoli, ma avranno comunque la possibilità di scegliere fra «341 voci dal suono naturale in 77 lingue» e di ricevere il loro audiolibro bell’e pronto in quindici minuti, almeno stando alle promesse di Speechki.

Dobbiamo rassegnarci (o entusiasmarci, a seconda dei punti di vista) all’idea che d’ora in poi la lettura passerà per le orecchie più che per gli occhi? Se ci fidiamo delle cifre, la risposta non può che essere positiva: secondo un rapporto dell’Associazione Italiana Editori nel 2019 la spesa per abbonamenti alle piattaforme di audiolibri era pari a 9 milioni di euro, nel 2020 è cresciuta a 17,5 milioni, nel 2021 è arrivata a 24 milioni. E una ricerca NielsenIQ commissionata nel maggio 2021 da Audible, leader globale del segmento (proprietà Amazon), rincara la dose: non solo gli audiolettori italiani sono oltre dieci milioni, ma più della metà, il 54 per cento, appartiene alla cosiddetta generazione dei millennials, tra i 25 e i 34 anni, cui si aggiunge una percentuale sostanziosa di ragazze e ragazzi tra i 18 e i 24 anni.

Eppure c’è chi non teme di esprimere un parere in controtendenza: su El Cultural Ignacio Echevarría, editor e critico spagnolo molto stimato, dichiara di «osservare il fenomeno con scetticismo». Dietro questa presa di posizione ci sono ragioni personali («Non guido un’auto, non corro su un tapis roulant, non mi annoio. Se ho tempo, preferisco leggere»), ma anche la convinzione che «il libro è un mezzo radicalmente diverso dall’audiolibro, così come la lettura è un’attività radicalmente diversa dall’ascolto, anche se le due cose sono identiche in termini di contenuto».
Affermazioni che suonerebbero sgradite dalle parti di Audible o di Speechki, ma che conviene ascoltare, perché ci interrogano sul significato che diamo al nostro rapporto con il testo scritto. A dispetto dei progressi della tecnologia digitale, «l’orecchio – scrive Echevarría – non ha la prospettiva spaziale fornita dalla vista, che è in grado di ‘sorvolare’ il testo». E «anche la lettura mediata dalla voce, che inevitabilmente ‘interpreta’ il testo, come un musicista interpreta la partitura, è più limitata», un limite evidente soprattutto quando si tratta di romanzi: un «genere di silenzio», secondo il critico spagnolo, a differenza «dell’antica arte del racconto, la cui tradizione era in origine orale».

Sicuramente la maggior parte degli audiolettori non sarebbero d’accordo, tant’è vero che i titoli più ascoltati su Audible in Italia sono proprio romanzi (la saga di Harry Potter, la trilogia dei Pilastri della terra di Ken Follett, il Conte di Montecristo e due bestseller nostrani, I Leoni di Sicilia e L’amica geniale), ma la domanda implicita resta aperta: gli audiolibri cambieranno – oltre al nostro modo di leggere – anche il modo in cui i libri vengono scritti?