Chi torni a leggere, come a me capita, gli scritti – saggi, articoli, interventi – pubblicati da analisti della realtà italiana – economica, sociale, istituzionale – ed elaborati da giuristi, sociologi, politici dopo il 1978 e la crisi della Repubblica conclamata dall’assassinio di Aldo Moro nel corso dei due lustri successivi, deve prendere atto d’una stupefacente attualità di molte di quelle pagine. Mi riferisco, naturalmente, ai contributi più attenti e ragionati ed alle considerazioni intese non solo a capire, ma ad indicare, con cognizione di causa, i necessari o, almeno, i più pressanti interventi che giovassero alla soluzione delle antiche contraddizioni dell’Italia unita e dei nuovi contrasti dell’Italia repubblicana. Intendo richiamare alla pubblicistica politica che esprimeva allora, ad un elevato grado, una elaborazione, potrei dire, ‘disinteressata’ della questione italiana pur nella ribadita diversità delle angolature e dei punti di vista. Erano domande indotte dalla effettuale situazione del paese, delle sue attive energie contrastanti, dei suoi nodi irrisolti alle quali si tentava di fornire risposte concepite secondo un superiore, generale interesse, là dove le parti si affermano in relazione al bene comune, non ad una loro mera unilateralità. Risposte o indicazioni e proposte che tenevano in gran conto non solo l’ambito istituzionale, ma, per dir così, il contesto civile, il loro reciproco consolidamento e arricchimento. Si tratta dunque di apprezzamenti critici e di ponderate valutazioni delle questioni aperte nella Repubblica a un trentennio dalla sua nascita. Tali da richiedere, nella conduzione della cosa pubblica, progetti programmi e strumenti realizzativi specifici e adeguati. Correzioni (anche d’ordine costituzionale) e introduzione di nuove norme.

Quegli scritti sottoponevano ad esame ogni comparto costitutivo della società e i punti critici individuati e discussi. Dalle riforme del sistema scolastico, della università e della ricerca alle articolazioni della sanità pubblica, dei trasporti, degli assetti urbani e delle compatibilità ecologiche ed ambientali. Ricerche mirate, sollecitate dall’insorgenza di riconoscibili dati di fatti e motivate da una cura della cultura politica che intendeva orientare e qualificare l’intervento dei partiti, accresceva le loro capacità di acquisire un crescente consenso in virtù dei programmi espressi. Ebbene, dicevo, con sorpresa si registra l’attualità di quei qualificati dibattiti. Ci si deve chiedere, però, in che senso attuali? Attuali perché si rivelano propositi inattuati? Di conseguenza, ammetteremmo che quei disegni non realizzati risultano tuttavia degni di essere perseguiti ed attuati oggi, a trent’anni e passa di distanza. Dunque, implicitamente, la società italiana continuerebbe ad essere così fatta da poter perfettamente accogliere e ‘calzare’ ancora le forme correttive e di sviluppo che furono allora redatte? Come se gli ultimi tre decenni non avessero mutato nel profondo il paese e i suoi abitanti. L’attualità che ci pare di riscontrare in quelle analisi ed in quei convincenti pareri non si adatta, allora, allo stato delle cose d’oggi. Quelle argomentazioni ostentano una attualità illusoria, producono un effetto che ci prende, ma che risulta, a ben riflettere, ingannevole. È così? Qualche precisazione permette di rettificare questo giudizio.

La recente competizione elettorale affida le sorti del paese a compagini portatrici di valori e pratiche assai distanti (quando non opposte) dalle culture della democrazia parlamentare.

L’‘antiparlamentarismo’ del “contratto” stipulato tra Lega e M5s continua il trentennale decorso inteso ad una riduzione della centralità del Parlamento operata con intensità diversa da tutti i governi. Le risorse delle convenzionali sinistre son ridotte allo stremo, esaurite nella qualità dei pensieri più ancora che nella scemata quantità delle adesioni. Ecco perché giova ricorrere a quegli insegnamenti. Attuali quegli scritti, elaborati ad affrontare i segni di crisi della democrazia parlamentare, a fronte della condizione di azzeramento progettuale e di inerzia politica che estenua le membra sparse, abbattute della sinistra.