Cultura

Attraversare il lamento funebre, riti di passaggio e di epoca

Attraversare il lamento funebre, riti di passaggio e di epoca

SCAFFALE A proposito di «Piangere la memoria», di Andrea Ghidoni per Carocci

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 24 ottobre 2024

Il classico lavoro di Ernesto De Martino su Morte e pianto rituale nel mondo antico, sottotitolava Dal lamento funebre antico al pianto di Maria per indicare la continuità di una tradizione mediterranea di lunghissima durata, attestata nel folklore come nella cultura scritta: che tuttavia, a ben leggere il testo, presenta discontinuità forti, con l’opposizione dei primi Padri della Chiesa (Tertulliano, Origine e Cipriano in particolare) sino ai divieti sinodali come quello di Toledo 589, nel quale si prescrive di accompagnare il defunto con il solo canto dei salmi, e si proibisce rigorosamente «il carme funebre che il volgo suole cantare ai defunti» (De Martino, 1975). Nella Calabria dell’XI secolo, il vescovo Luca di Bova sgridava i suoi fedeli per le manifestazioni troppo vistose (l’emozione, il lamento, il pianto, le grida) con le quali i defunti venivano accompagnati alla sepoltura, notando che era costume dei musulmani, ma non poteva esser tale per i cristiani – e ignorando che le sue origini, per entrambe le comunità, erano ben più lontane.

IL LAMENTO FUNEBRE svolge un ruolo centrale nell’elaborazione collettiva del lutto. Nelle società tradizionali, la morte non è solo una questione individuale o familiare, ma coinvolge l’intera comunità, che si riunisce per esprimere il proprio dolore e per ristabilire l’equilibrio sociale turbato dall’evento. L’antropologo Arnold van Gennep, nel suo studio sui «riti di passaggio», ha descritto la morte come uno degli eventi più importanti che richiedono rituali per segnare il passaggio da uno stato sociale a un altro. Il lamento funebre si colloca in questa fase liminale, in cui il defunto si trova tra il mondo dei vivi e quello dei morti, e il rito funebre aiuta a completare questa transizione.

Attraverso il lamento, la comunità affronta il disordine creato dalla morte e ristabilisce i legami sociali. I membri della comunità, attraverso la partecipazione al rito, riaffermano la loro coesione e solidarietà, riducendo il senso di disgregazione che la perdita potrebbe portare. Il lamento non solo dà voce al dolore individuale, ma diventa un’esperienza condivisa, in cui tutti partecipano a un evento catartico che facilita l’accettazione della perdita e il reintegro sociale. In molte culture tradizionali, il lamento funebre è un’attività prevalentemente femminile. Le donne, spesso, ricoprono il ruolo di «professioniste del lutto», incaricate di esprimere pubblicamente il dolore in forme codificate e rituali.

Questo ruolo ha una forte valenza simbolica, poiché le donne sono tradizionalmente associate alla sfera della vita e della morte, essendo coloro che danno alla luce e, allo stesso modo, accompagnano i morti nel loro ultimo viaggio. Nelle società mediterranee, ad esempio, le «prefiche», donne pagate per piangere il defunto, erano una figura comune fino a tempi relativamente recenti. La centralità delle donne nei riti funebri riflette anche un sistema di divisione dei ruoli all’interno della comunità, in cui la gestione simbolica e rituale della morte è assegnata a loro, mentre gli uomini sono più coinvolti in altri aspetti sociali e politici della vita comunitaria.

QUESTO CONFERISCE alle donne un potere particolare nella sfera del sacro e del rito, legando il loro ruolo sociale a una dimensione simbolica di mediazione tra la vita e la morte.
In età medievale, per contrastare evidentemente la pratica pre-cristiana, allo stesso tempo integrandola in forme mutate nelle consuetudini funerarie, si proponevano consuetudini come quelle del planctus Mariae, che come ancora notava De Martino tendeva a «riassorbire e a trasfigurare nel pianto cristiano le forme esterne dell’antico lamento funebre rituale».
All’insieme ricco e complesso di rivisitazioni presenti nella letteratura medievale è rivolto il libro di Andrea Ghidoni, Piangere la memoria. Lamento funebre e culture medievali (Carocci, pp. 616, euro 59). Ghidoni ha ben presente il modo in cui il tema è stato trattato da una vasta letteratura antropologica; tuttavia il corposo volume in larga parte è dedicato alle forme scritte, andando ben oltre il solo planctus Mariae, e muovendosi agilmente fra l’epica, la cultura cortese, l’agiografia, i testi atti a piangere la scomparsa di sovrani e imperatori, mettendo in luce la ricchezza e l’inventività della cultura medievale.

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