Atto finale per «L’Aleph»
Casi letterari Domani la sentenza del processo intentato per plagio da María Kodama, vedova dello scrittore argentino Borges, contro l’autore ed editore Pablo Katchadjian, accusato di aver cambiato il celebre racconto
Casi letterari Domani la sentenza del processo intentato per plagio da María Kodama, vedova dello scrittore argentino Borges, contro l’autore ed editore Pablo Katchadjian, accusato di aver cambiato il celebre racconto
Nel dibattito che infiamma in questi giorni il mondo letterario argentino, ancora una volta al centro delle polemiche c’è María Kodama, vedova di Borges e proprietaria dei diritti d’autore della sua opera. È previsto per domani, infatti, l’atto finale di un processo per plagio intentato dal suo agguerrito studio legale contro lo scrittore e editore argentino Pablo Katchadjian, classe 1977, difeso dall’avvocato, nonché scrittore e critico, Ricardo Strafacce.
La denuncia risale al 2011 ma, dopo due assoluzioni e il ricorso in Cassazione, lo stesso giudice che aveva deciso di soprassedere ha ribaltato le sentenze precedenti e bloccato 80mila pesos (7500 euro circa) di Katchadjian, che rischia anche una condanna da un mese a sei anni.
Il suo delitto? Aver pubblicato nel 2009 presso la propria casa editrice, Imprenta Argentina de Poesía, El Aleph engordado (L’Aleph ingrassato), con una tiratura di duecento copie. L’autore ha preso il celebre racconto di Borges e vi ha aggiunto del suo: dalle quattromila parole dell’originale è arrivato a novemila e seicento. Prendiamo per esempio l’incipit di Borges (nella traduzione di Francesco Tentori Montalto): «L’incandescente mattina di febbraio in cui Beatriz Viterbo morì, dopo un’imperiosa agonia che non si abbassò un solo istante al sentimentalismo né al timore…». Nel libro di Katchadjian diventa: «L’incandescente e umida mattina di febbraio in cui Beatriz Viterbo finalmente morì, dopo un’imperiosa ed estesa agonia che non si abbassò neanche per un istante né al sentimentalismo né alla paura e nemmeno all’abbandono e all’indifferenza…». E così via fino alla fine. Intendeva rendere omaggio al maestro o parodiarlo?
Katchadjian non era estraneo a questo tipo di sperimentazioni, nel 2007 aveva pubblicato El Martín Fierro ordenado alfabéticamente: una volta inserito il poema fondazionale della letteratura argentina in Excel, il programma lo aveva «riordinato» secondo l’ordine alfabetico. Kodama, dal canto suo, non era certo estranea alle aule dei tribunali: nel corso del tempo ha intentato numerose cause a biografi e commentatori di Borges, e ne ha vinto una analoga contro lo scrittore spagnolo Agustín Fernández Mallo per il suo El hacedor (de Borges). Remake (nel 2011 Alfaguara dovette ritirare le copie in circolazione).
La polemica sollevata dal caso investe la concezione della letteratura e della figura dell’autore nell’epoca del copyleft, la posta in gioco dunque va al di là dell’episodio particolare, e sembra indispensabile una revisione della legge sul diritto di proprietà intellettuale, risalente agli anni ’30. Del resto, una condanna sarebbe paradossale, se si considera che Borges fu tra i primi a fare ampio uso dell’intertestualità e a mettere in discussione la nozione stessa di autore, basta pensare a Pierre Menard che riscrive il Don Chisciotte. Di Macedonio Fernández disse: «Lo imitai fino alla trascrizione, fino al devoto e appassionato plagio».
Stante la legge attuale, però, Katchadjian potrebbe non uscirne del tutto indenne. Secondo l’agente letteraria Mónica Herrero: «Borges è di dominio privato, perciò, se si intende riprodurlo, modificarlo, adattarlo, bisogna parlare con il titolare dei diritti. È così, e nessuno che agisca in questo mondo nel ruolo di editore può ignorarlo». Strafacce, presentando appello, ha chiarito la linea della difesa: non c’è plagio perché non c’è dolo, Katchadjian «non intendeva ingannare nessuno né lucrare indebitamente».
In prima linea al suo fianco c’è César Aira – insieme a Ricardo Piglia, Patricio Pron, Alan Pauls, Claudia Piñero e ad altri 2500 firmatari di una lettera aperta che si sono dati appuntamento venerdì alla Biblioteca nazionale –, che elogiò El Martín Fierro ordenado alfabéticamente definendolo «meraviglioso» e si entusiasmò anche per El Aleph engordado, sostenendo che «l’ampliamento» operato da Katchadjian era quasi implicito nel concetto inafferrabile rappresentato dall’Aleph.
L’entusiasmo di Aira è comprensibile: i testi di Katchadjian sembrano l’inveramento delle sue teorie letterarie, ma sorge il dubbio che la denuncia di Kodama, arrivata due anni dopo la pubblicazione del libro incriminato, sia stata innescata proprio dall’eco del suo omaggio.
Secondo Antonio Jiménez Morato, per il quale Kodama è «una minaccia per la letteratura mondiale» e non sarebbe neanche in grado di comprendere l’opera di Borges, si tratta di «uno dei testi più intelligenti in cui un giovane autore omaggia e al contempo metaforizza l’essenza dell’arte e l’influenza della tradizione». Di parere contrario Ezequiel Alemian: «Cosa aggiunge l’‘ingrassatura’ a El Aleph? Se cerca di non differenziarsi, non aggiunge nulla. Se la differenza riguarda la stravaganza, ciò che aggiunge è insignificante, una sorta di fuoco d’artificio, una gag». E Omar Genovese, per dimostrare l’inconsistenza dell’operazione di Katchadjian, ha «dimagrito» il testo togliendo tutte le parole di Borges: niente a che vedere con il valore letterario della riscrittura in chiave porno operata da Fogwill con il suo Help a el (anagramma di El Aleph).
Katchadjian in seguito ha pubblicato altri libri, raccogliendo soprattutto critiche positive, è stato tradotto in inglese, francese ed ebraico, e le malelingue si domandano se la sua visibilità odierna sia frutto esclusivo del talento o piuttosto dell’indubbia pubblicità derivante dal caso giudiziario.
Un’ultima considerazione. Com’è noto, Kodama è odiata da gran parte dei letterati argentini: c’è chi ha messo in discussione la validità del suo matrimonio, la decisione di seppellire Borges a Ginevra, le critiche a Bioy Casares dopo la pubblicazione del libro di memorie sull’amico e, soprattutto, la scelta di rieditare testi esplicitamente ricusati dal maestro e di non rendere disponibile agli studiosi il corpus delle sue opere.
Lo scontro, dunque, è anche politico: da una parte la vedova, con alle spalle la potente Fondazione Borges, dall’altro l’intellighenzia progressista argentina. Per ora, la parola spetta ai giudici.
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