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«Atteggiamenti artificiosi» delle classi popolari

Divano La rubrica settimanale a cura di Alberto Olivetti

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 14 luglio 2017

Antonio Gramsci rivolge un interesse costante agli atteggiamenti artificiosi che si riscontrano in aspetti rilevanti della vita delle classi popolari. Comportamenti e opinioni non provenienti da una diretta esperienza ma indotti per imitazione di modelli ricevuti.

Si apre qui, per Gramsci, un ampio universo, variegato e multiforme, che invita a ricognizioni puntuali che studino la dinamica tra presa di coscienza emancipatrice e ampliamento delle facoltà critiche, in rapporto alle riduzioni e mancanze di consapevolezza che recludono.

La cultura popolare, in ogni caso, intrattiene una relazione attiva con le culture ‘alte’ comunque recepite, vuoi per semplificazioni o vuoi per fraintendimenti. Del resto, la recezione richiede una qualche interpretazione del modello prescelto. E dunque, per alcuni aspetti e in una certa misura, il recepire come appropriazione attiene sempre al modificare e al reinventare. Per certo è questo il caso della acquisizione critica di conoscenze elevate.

Essa comporta elaborazioni ulteriori, dunque una più o meno esplicita innovazione, operata in continuità o per cesure. Ma in altri casi si tratta di veicolazioni che risultano artificiose perché si incastrano, quasi un corpo estraneo, in fibre culturali altre e di differente caratura. Pure tali derivazioni e trasmissioni formano sedimenti e si depositano.

È il caso degli atteggiamenti artificiosi di cui parla Gramsci, che si consolidano perché rispondono a convenzioni sociali diffuse e assicurano la manifestazione di stati d’animo e di sentimenti secondo maniere accettate e riconoscibili.

«Negli elementi popolari, constata Gramsci, questa artificiosità assume forme ingenue e commoventi»; e considera: «il barocco, il melodrammatico sembrano a molti popolani un modo di sentire e di operare straordinariamente affascinante, un modo di evadere da ciò che essi ritengono basso, meschino, spregevole nella loro vita e nella loro educazione per entrare in una sfera più eletta, di alti sentimenti e di nobili passioni».

In una lettera a Tania, il 4 aprile del 1932, Gramsci ricorda Giacomo Bernolfo, operaio torinese impegnato nel servizio di vigilanza de L’Ordine Nuovo, condannato nel 1926 a cinque anni di confino. Lo descrive «uomo di forza erculea» e di incredibile «sensibilità sentimentale».

Rammenta che «sapeva a memoria una grande quantità di versi, ma tutti di quella letteratura romantica deteriore che piace tanto al popolo e gli piaceva recitarli, sebbene diventasse rosso come un bambino sorpreso in fallo, ogni volta che io mi infilavo nel pubblico per ascoltarlo». Erano «sdolcinature patetiche disgustanti» declamate da Bernolfo con «passione sincera». Egli vi sentiva espresse «passioni elementari robuste e impetuose». Sincerità passionale vissuta intensamente, eppure dichiarata e detta con le frasi fatte di cascami letterari deteriori. O con le «parole musicate» del melodramma.

La musica, scriveva, ancora a Tania dal carcere di Milano il 27 febbraio del 1928, è il «linguaggio più universale oggi esistente, che più rapidamente comunica immagini e impressioni totali». Immagini e impressioni che coinvolgono mente e corpo: la musica, connessa alla parola, appronta «matrici in cui il pensiero prende una sua forma nel suo fluire». E la musica, nella danza, articola i movimenti del corpo.

Rilevando il diffondersi dei jazz-bands in Europa («questa musica ha veramente conquistato tutto uno strato della popolazione europea colta, ha creato anzi un vero fanatismo»), Gramsci si chiede quali ne possano essere i conseguenti risultati ideologici. Siamo senza dubbio noi oggi, quasi un secolo dopo, nella condizione di valutare le conseguenze della «ripetizione continuata dei gesti fisici danzando» e de «l’avere sempre nelle orecchie il ritmo sincopato».

Già allora Gramsci prendeva atto «di un fenomeno enormemente diffuso, che tocca milioni e milioni di persone, specialmente giovani»; e ragionava degli atteggiamenti artificiosi determinati nelle classi popolari per effetto di «impressioni molto energiche e violente, cioè che lasciano tracce profonde e durature», di facile assimilazione e generalizzabili «dalla musica e dalla danza a tutto il mondo psichico».

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