Attacco a Damasco e offensiva a Homs: l’Isis non è sconfitto
Siria Kamikaze nella capitale: 17 morti. Il «califfato» riprende la città di al-Qaryatayn, controllata dal governo. E a Raqqa resiste. Lunedì strage Usa: 45 morti, per lo più civili, usati come scudi umani dagli islamisti
Siria Kamikaze nella capitale: 17 morti. Il «califfato» riprende la città di al-Qaryatayn, controllata dal governo. E a Raqqa resiste. Lunedì strage Usa: 45 morti, per lo più civili, usati come scudi umani dagli islamisti
Lo Stato Islamico, in Siria, non è sconfitto. Con Raqqa sotto assedio terrestre e aereo e la perdita ormai certa (seppur non immediata) della propria «capitale», gli uomini del «califfato» si infiltrano con una facilità preoccupante in zone che dovrebbero essere saldamente in mano al governo di Damasco.
Ieri l’Isis, tramite l’agenzia stampa Amaq, ha rivendicato i due attacchi kamikaze che lunedì hanno insanguinato Damasco: 17 morti, tra civili e poliziotti, nel quartiere di al-Midan. Nel mirino una stazione della polizia, presa d’assalto da due uomini: il primo si è fatto saltare in aria all’esterno, il secondo è riuscito a entrare nella caserma. È stato ucciso, ma la bomba che aveva con sé è saltata in aria.
Al-Midan non è un quartiere qualsiasi: è una delle zone più antiche della città, di epoca mamelucca, a ridosso delle mura antiche della città vecchia, e luogo di nascita dei fondatori del partito Baath, Michel Aflaq e Salah al-Din al-Bitar. L’Isis ha dimostrato di essere in grado di colpire il cuore della capitale.
Un’azione brutale, significativa dal punto di vista militare e simbolico. Simile, in tal senso, alla ripresa (sempre lunedì) della città di al-Qaryatayn, nella provincia di Homs. Ovvero, nel mezzo di un territorio controllato interamente dall’esercito governativo dal marzo di quest’anno.
La battaglia è stata pesante: cominciata il 28 settembre con la controffensiva islamista, ha ucciso 153 combattenti pro-Assad, tra soldati e membri di Hezbollah. E l’Isis è tornato a al-Qaryatayn, città che aveva perso un anno e mezzo fa dopo un anno di occupazione e lontana dalla linea del fronte, a 300 km sia da Deir Ezzor che da Raqqa, le due roccaforti islamiste.
Una distanza che fa immaginare che il califfato non sarà in grado di resistere a lungo alla probabile offensiva di ritorno del governo, ma che dà la misura del suo potenziale militare.
La misura la dà anche la capacità di resistenza messa in campo a Raqqa. La città, ripiegata su stessa da quattro anni di occupazione, violentata e abusata, ridotta ad un ammasso di macerie grigie e palazzi spolpati, non è ancora caduta: le Forze Democratiche Siriane avanzano con lentezza a causa della presenza di civili e delle trappole esplosive disseminate dall’Isis.
Un mese fa le Sdf celebravano la ripresa della città vecchia, resa possibile da due breccia aperte nelle mura antiche, un perimetro di 2,5 km: il 60% di Raqqa è libera, aveva annunciato Talal Sello, portavoce della coalizione di kurdi, turkmeni, circassi e arabi.
L’Isis è sempre più schiacciato verso sud, verso il fiume Eufrate. E le stragi si susseguono: sarebbero 45 i morti nel raid aereo statunitense che ha colpito lunedì due edifici nel quartiere di al-Touse’eiyah. Le vittime sono per lo più civili, usati come scudi umani dallo Stato Islamico che dei palazzi aveva fatto un suo avamposto.
I jet Usa hanno bombardato comunque, facendo salire ancora un bilancio terribile: secondo fonti locali, sarebbero almeno 3mila i morti in Siria nel mese di settembre. Di questi mille civili.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento