Italia

Atlantia, nessuno scenario apocalittico sulla via della nazionalizzazione

Concessioni autostradali Quello della famiglia Benetton è stato il più grande affare del secolo scorso

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 18 agosto 2018

Ripubblicizzare si può. E a costi ammortizzabili in pochi anni. Lo scenario apocalittico tratteggiato da un’eventuale rescissione del contratto con Aspi (Autostrade per l’Italia) non trova riscontro nell’articolato della Convenzione, firmata nel 2007 con Anas e finalmente desecretato. Diciamo subito che i fatti di Genova consentirebbero da soli di sciogliere i vincoli contrattuali. È infatti obbligo del concessionario mantenere la «funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva delle stesse» (art 3, c1b), la cui «grave inadempienza» comporta la decadenza della concessione. Non a costo zero naturalmente, ma con parametri e variabili che potrebbero ridurre l’impatto per il concedente (cioè lo Stato).

Partiamo dalla norma. L’art 9 al comma 3 prescrive il versamento del «valore attuale netto dei ricavi della gestione, prevedibile dalla data della decadenza sino alla scadenza della concessione, al netto dei relativi costi, oneri e investimenti e imposte prevedibili nel medesimo periodo, scontati a un tasso di rendimento di mercato e maggiorato delle imposte». Si tratterebbe di attualizzare gli utili della concessionaria fino alla scadenza della concessione (2038) a un tasso di mercato maggiorato delle imposte. Negli ultimi 4 anni i profitti del gruppo hanno toccato in media i 900milioni. Ma essi dovrebbero essere riportati ai giorni nostri con un tasso di sconto, moltiplicato per gli anni restanti, sul quale le parti potrebbero contrattare. E, particolare importante, la stessa somma verrebbe decurtata «dall’indebitamento finanziario netto assunto dal concedente alla data del trasferimento stesso» che, nell’ultimo bilancio, superava i 9 miliardi. C’è poi una penale del 10% «salvo il maggior danno subito dal concedente», che andrebbe ad alleggerire ulteriormente l’esborso per lo Stato. Quello che resta potrebbe essere ammortizzato in pochi anni dai flussi dei pedaggi, magari dismettendo alcune partecipazioni estere.

La gestione pubblica della rete autostradale non sarebbe né uno scandalo né un’eccezione in Europa. Spiega il professor Giorgio Ragazzi su LaVoce.info: «Lo Stato potrebbe, alla scadenza delle concessioni, affidarle senza gara a una società pubblica emanazione dell’Anas o di Cdp Reti, senza dover remunerare così generosamente alcune società private e assicurando altri benefici per la collettività, come gare per le costruzioni aperte, senza preferenze per le controllate delle concessionarie. Con l’unbundling il pubblico potrebbe subappaltare con gare i vari servizi (esazione, manutenzione) alle società più efficienti, magari alle stesse ex concessionarie, senza dar vita a carrozzoni di Stato».

La privatizzazione della rete autostradale è stato il più grande affare a vantaggio di una famiglia privata del secolo scorso. Acquistata la gestione a prezzo di saldo per 7 miliardi, la famiglia Benetton è riuscita con un’abile manovra finanziaria di fusione a scaricare il debito contratto sulla concessionaria, assorbito in pochi anni dai pedaggi, minimizzando gli investimenti. Autostrade è diventata una macchina da soldi. Dal 2008 al 2017 il gruppo ha incassato circa 9 miliardi di utili netti. L’anno scorso ha sfiorato il record, con 1,04 miliardi, mentre gli investimenti operativi passavano da 931 a 556 milioni, più che dimezzati in tre anni. Investimenti spesso al di sotto delle soglie previste, proroghe ed extraprofitti da pedaggio sui quali nessun governo ha mai avuto nulla da ridire. L’ultimo regalo è arrivato dal precedente governo proprio con la Gronda di Genova: 4,3 miliardi di costi entro il 2028 (più altri investimenti per 3,5 miliardi entro il 2038), proroga della concessione al 2042 e «buonuscita» alla scadenza di 5,7 miliardi. Se questa è una privatizzazione.

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