«Astrid’s Saints», tormenti horror di una favola nera
Cinema IL film di Mariano Baino evento speciale al Busto Arsizio Film Festival diretto da Giulio Sangiorgio
Cinema IL film di Mariano Baino evento speciale al Busto Arsizio Film Festival diretto da Giulio Sangiorgio
La dicitura iniziale – ma già collocata «tra» le ombre e le luci che rivelano e nascondono gli ambienti cavernosi e le voci, i sussurri, le parole provenienti da un altrove interiore che non trova pace – esprime quel che Astrid’s Saints è: «A Mariano Baino fairytale». Una favola, nera, inscritta nell’inquietudine, nell’irrequietezza, negli spasmi carnali e vocali di una donna di fronte a un lutto – la morte del figlio piccolo – che continua a tormentarla e che solo con un ulteriore gesto estremo sarà in grado di elaborare, ovvero compiere un gesto finale di commiato tanto dal mondo quanto dalle sue ossessioni.Astrid’s Saints è il ritorno al lungometraggio di Baino, trentuno anni dopo il suo esordio con Dark Waters. Era il 1993 quando il regista nato a Napoli, la cui carriera si sarebbe poi costruita all’estero, realizzò un horror demoniaco divenuto oggetto di culto portando in esso la sua esperienza di artista multimediale capace di inventare un immaginario destabilizzante. Tracce formali e tematiche di quel film riaffiorano in Astrid’s Saints – evento speciale al Busto Arsizio Film Festival diretto da Giulio Sangiorgio e in corso fino a sabato, insieme a Dark Waters, offrendo così la possibilità sia di rivedere quell’opera prima ormai lontana nel tempo sia di creare legami tra i due testi. Un film che sarebbe improprio definire solamente horror, pur se pieno di suggestioni del genere. Quella che sgorga da ogni inquadratura di Astrid’s Saints è un’allucinazione che tocca tutto quanto viene mostrato, un labirinto magmatico che non prende lo spettatore per mano, bensì lo scaraventa nel «mondo malato» della protagonista Astrid.
VIVE IN UNA CASA-CAVERNA, in un tempo fuori dal tempo («Nella mia perenne oscurità il tempo si è fermato», legge a un certo punto in un libro-diario), come una sorta di asceta – capelli cortissimi, tunica bianca o grigia – che evoca memorie di cinema, mentre le immagini si popolano di ampi strati di altre memorie, quelle della protagonista rinchiusa nel suo delirio. Astrid si aggira in quegli spazi familiari, così come in altri sconosciuti e ugualmente cavernosi seguendo l’invito di una donna, compie gesti in forma di danza – e a sua volta la macchina da presa si muove tra quella miriade di oggetti materici e simbolici (il letto, i santini appesi, un gomitolo, i quaderni e le carte da gioco, gli specchi) illuminandoli e di-segnando percorsi che creano distorsioni visuali (si pensa alle poetiche di un Sokurov o di un Lynch).
Tutto è materia, in Astrid’s Saints. E i santi cui fa riferimento il titolo sono ovunque, scandiscono lo scorrere, o il non scorrere, dei giorni, sono pronunciati e indicati in didascalie, pericolosi e attraenti. Si infiltrano nei tanti anfratti composti da Baino, nel gioco di luce dato dalle candele accese, disegnati, scritti, osservati. Santi divenuti martiri dopo atroci sofferenze. Astrid ne è ossessionata. E l’icona del figlio Daniel la porta al collo. E a lui – e alla madre nascosta in una stanza, con la quale dialoga – si rivolge, lo vede, lo stringe a sé. Sono entrambi dei morti, quelli che la circondano, che fuoriescono dalla sua mente, che feriscono come il suono del vento, le urla trattenute o espresse, i vagiti, gli ansimi diffusi nell’aria claustrofobica dei posti (e, se si esce alla luce del giorno, quella luce dà fastidio, ci si deve coprire gli occhi).
«C’ERA UNA VOLTA…», si ripete spesso. Siamo, appunto, nei territori della favola che si scheggia in una moltitudine di direzioni, che diventa cantilena, storia da leggere a letto a chi non c’è più eppure persiste, mentre scricchiolii si insinuano nella colonna sonora e nella visione frantumando il tessuto visivo. Astrid è una madre in lutto. Come altre. Intensamente interpretata – in un film di pochi dialoghi e più di voci che lasciano trapelare pensieri – da Coralina Cataldi-Tassoni, che con Baino ha già lavorato in alcuni cortometraggi e che ricordiamo attrice, tra gli altri, per Lamberto Bava e Dario Argento.
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